venerdì 30 settembre 2011

Week end...senza Post-it

Nanako riprenderà a scoprire nuovi post-it da Lunedì.
Ora Momo ha intenzione di perdersi in questo Week end di relax alla scoperta di nuove immagini e emozioni! Nel frattempo potete lasciare un segno di voi, nella Momo's Island.
Auguro un buon week end, a chi mi legge, e chi mi leggerà.
Ohyasumi nasai....buona notte.....




Momo

Post-it "24"

"24"

Lunedì era giunto, e una nuova settimana ricominciava. Avrei risistemato il romanzo che avevo in mente, avrei studiato, e ....avrei pensato al responsabile di quei post-it! Ci pensavo spesso, era ormai diventata una mia ossessione da giorni. Chi era? Chi poteva essere!?!? Una cosa era successa però: quel lunedì incontrai nuovamente Keiko. No, non ero nella solita biblioteca: quel giorno non ne avevo voglia. Decisi di alzarmi sul tardi, mangiare un boccone a casa e andare a fare attività fisica. Così al pomeriggio sottosera uscii, nonostante il cielo fosse grigio. Mi misi a fare jogging nel parco vicino casa, e ad un tratto vidi una figura familiare che stava facendo stretching sotto un enorme albero di ciliegio. Era una ragazza dalle forme toniche e definite, con i capelli raccolti in un grande chignon e qualche ciocca che scendeva sul suo viso. Era proprio lei, Keiko. La osservai per un po': lei, mentre eseguiva gli esercizi teneva gli occhi chiusi. Pareva fosse in un altro mondo. Non volevo disturbarla, ma la tentazione di chiamarla era più forte di me:
"Keiko!" esclamai. Aprì gli occhi, e si voltò verso di me, perplessa. E così mi vide.
"Ehm...scusa ti...ho disturbata?!" chiesi. Lei mi sorrise.
"No. Tranquilla. Che cosa ci fai quì?"
"Stavo facendo jogging...." dissi io avvicinandomi.
"Vuoi fare un po' di stretching con me?" mi chiese.
"Non...non vorrei disturbarti...ti vedo molto presa dai tuoi esercizi..."
"Se ti sto chiamando per fare esercizi con me, non disturbi affatto..." esclamò lei con un grande sorriso. Quel sorriso era un grande bagliore, più di un raggio di sole. Eppure quel giorno, non c'era il sole: c'era un cielo grigio e che avrebbe promesso pioggia da un istante all'altro.
"Va bene..." risposi. E così iniziai a fare un po' di stretching al suo fianco. Una leggera brezza mi accarezzò le braccia e le gambe. Un piccolo brivido percorse la mia schiena, e dopo qualche istante sentii qualche goccia colpirmi la fronte.
"Inizia a piovere!" esclamai alzandomi in piedi di scatto.
"Già! Seguimi! E di corsa!" esclamò lei, mettendosi a correre lungo la via. La seguii di corsa, per un paio di minuti. Una corsa sotto la pioggia umida e seguendo una ragazza appena conosciuta: tutto così, improvvisato. Eppure seguii il mio istinto. Non mi frenai ai semplici impegni universitari, quel giorno mi girava così. Era da tempo che non mi sentivo smarrire, volevo perdermi in qualcosa, ma non sapevo bene di cosa si trattasse.
Arrivammo ad una palazzina ed entrammo. Percorremmo una scala e dopo qualche gradinata arrivammo alla porta d'ingresso. Iniziai ad avere i brividi: ero bagnata fradicia!
"Prego accomodati!" disse Keiko, e ci levammo le scarpe per entrare.
Quando entrai vidi un appartamento dalle pareti molto semplici e bianche, con molti ripiani pieni di libri. Aveva un bellissimo divano al centro del piccolo soggiorno, color verde acqua. A vederlo sembrava morbidissimo, ed ero tentata di sdraiarmici al volo!
"Forse è il caso che ci asciughiamo...ti mostro il bagno, così ti do anche un cambio mentre aspetti che si asciughino i vestiti.." disse Keiko, e mi accompagnò al bagno. Era molto piccolo e con fantasie sulle pareti tutte strane, dello stesso colore del divano.
"Per caso adori il verde acqua?" chiesi, mentre mi di dosso gli abiti bagnati.
"Sì, è il mio colore preferito! Amo le sfumature dell'azzurro e del verde acqua..."disse dall'altra stanza.
Mi misi un salviettone azzurro addosso, e mi asciugai. Nel frattempo Keiko bussò alla porta del bagno:
"E' permesso? Ti appoggio quì una mia tuta, almeno tieni quelli per adesso." disse entrando ed appoggiando i vestiti.
"Gr-grazie..." replicai timidamente. Ero un po' in imbarazzo, indossare una tuta di una persona che conoscevo da troppo poco tempo...era strano. Eppure la sensazione di una tuta di cotone grigia e morbida, era bellissima. Uscii dal bagno, dopo aver ripiegato accuratamente il salviettone e averlo riposto al suo posto.
Lei si era messa una maglietta a maniche corte nera e un paio di leggins viola e si stava asciugando con un altra salvietta azzurra i capelli.
"Cavoli ti sta bene....forse un po' larga! Dovresti mangiare di più o fare più esercizio fisico, così acquisisci massa muscolare!" disse col sorriso.
"Già, in effetti hai ragione...po-posso sedermi?"
"Certo, prego!" disse lei invitandomi a sedermi sul divano verde acqua. Mi guardai intorno, e mi misi seduta . Il divano era davvero morbido: sprofondavo e quasi ti invitava a sdraiarmi.
"Ti porto qualcosa di caldo?" chiese lei, mentre si fiondava in cucina.
"No, niente, grazie." risposi. Mi misi ad osservare tutti i ripiani pieni di libri e la mia curosità saliva sempre di più.
"Chissà che libri saranno." pensai e così mi rialzai e mi avvicinai ai ripiani. Ce n'erano di diversi generi, ma tutti sistemati per genere e separati da una mattonella di legno rosso: cucina, sport, medicina e fitness. Si vedeva che era un insegnante di educazione fisica!
"C'è qualche libro che ti interessa?" chiese lei, catturando la mia attenzione. Per un istante mi sentii colpevole, perchè ero andata a ficcare il naso in cose che non erano mie, e per di più a casa di una persona che conoscevo poco.
"Ehm...beh diciamo che i generi che preferisco sono altri, ma i libri di cucina non li disdegno." dissi con lieve imbarazzo.
"E che altri generi ti piacciono?" chiese.
"Romanzi d'amore, racconti fantastici....ma più che leggere io scrivo."
"Scrivi? E hai già pubblicato qualcosa?"
"Avevo vinto un premio molto tempo fa...ora sto ricontrollando un romanzo che ho scritto da poco...."
"Di cosa tratta?" chiese lei con curiosità sedendosi sul divano.
"Di.... di una storia d'amore..." risposi. Ero nervosa, non le volevo dire certi risvolti, mi vergognavo molto. Mi vergognavo del mio stesso sogno...che tristezza!
"Ti va di raccontami qualcosa? Oppure devo aspettare la sua pubblicazione?" chiese . In quel momento mi tornarono alla mente le critiche gelide della professoressa Mauura, e di colpo mi si riaprì una ferita che sembrava si fosse rimarginata. Tutta un illusione...pure il mio sogno di pubblicare un libro era un illusione! Mi salì un grande magone:
"E' inutile che aspetti....tanto non me lo pubblicheranno mai."
"Perchè dici questo?" chiese lei con espressione perplessa. Le parole della professoressa Mauura mi avevano ferita profondamente, nonostante io avessi provato a non darci più di tanto peso.
"Perchè è vero....ha una storia ma non ha il tocco magico che dovrebbe avere per esser pubblicato..." replicai, sedendomi. Una strana tristezza si stava prendendo gioco di me, e la meta sembrava così lontana.
"Se tu ci credi...è già una magia." disse lei.
"Dici?" replicai. Non ero dello stesso parere, avevo un pessimismo e un vuoto in quegli ultimi tempi che mi veniva quasi voglia di dar fuoco ad ogni mio sogno. Forse anche perchè ero sola...e nessuno credeva nella forza dei miei progetti.
"Sì. Se ci credi, te lo pubblicheranno. E' normale che non si riesca subito...."
"Ma è da tanto che ci sto sopra...possibile che ci sia davvero qualcosa di sbagliato?! Io non credo!" esclamai con nervoso. Poi però cercai di ripigliarmi, e chiesi scusa a Keiko per la mia reazione.
"Non c'è bisogno di scusarsi...hai ragione ad essere arrabbiata, ma la stessa energia che è in te la devi usare per realizzare quel sogno!" disse lei appoggiando una mano sulla mia. Quel calore, quella sensazione.....sembravano le stesse del sogno che feci quel giorno. E da cui avevo tratto la storia per il mio romanzo.
"Fo...forse hai ragione..." dissi e la guardai negli occhi. Il suo sguardo era così profondo che ci potevo nuotare. Era bellissimo, e ricordava quello di mia madre.
"Mamma...." pensai. Quanto mi mancava una sicurezza...quanto mancava mia madre! Eppure Keiko...mi ricordava mia madre.
"Oggi hai corso per arrivare ad una meta, nonostante la pioggia ti colpissa. Così è la stessa cosa per il tuo romanzo." disse lei col sorriso.
"Già..." replicai. Qualche istante di silenzio ci separono, e mi accorsi che aveva appena smesso di piovere.
"Finalmente ha smesso. Però c'è un po' freddo..." disse lei con sconforto.
"Sarà meglio se mi avvio a casa." replicai.
"Allora vado a prenderti i vestiti." disse lei e si alzò. Mi alzai anche io.
"Vado in bagno a togliermi la tua tuta allora..." dissi
" Ma i tuoi vestiti sono ancora inzuppati! Te li metto in un sacchetto, intanto ad andare a casa ti tieni la mia tuta...."
"Cosa? Ma poi quando te la restituisco!?" esclamai.
"Quando vuoi! Io ne ho diverse, non ti preoccupare...."
"No ma almeno...dammi il tuo numero che io ti do il mio.... così....so quando sei libera un attimo e ti restituisco la tuta!" replicai, mentre lei tornò da me con un sacchetto di plastica con i miei vestiti piegati con cura, nonostante fossero ancora umidi.
"Va bene, allora aspetta un momento. Ti do il mio biglietto da visita." disse lei, mentre presi il sacchetto.
Prese dalla sua borsa un biglietto da visita, e me lo allungò.
"Ecco quà."
"Grazie mille...tieni il mio e... scusa ancora per il disturbo."
"Nessun disturbo...Nanako, vero?" chiese lei, prendendo il mio biglietto da visita.
"Sì, esatto." replicai mentre mi infilavo le scarpe. Keiko mi aprì la porta.
"Allora a presto, e...grazie ancora!" dissi.
"Figurati! A presto...." disse lei e chiuse la porta.
Ricominciai a correre verso la strada di casa. Niente, non pensavo a niente. Era come avere il cervello in stand-by, eppure sapevo bene dove stavo andando. Dopo un po' di tempo mi resi conto che ero già sulla soglia di casa.
"Eccocì quà." dissi e aprii la porta. Andai subito a stendere i vestiti bagnati e misi a lavare la tuta di Keiko. Poi mi feci una doccia calda. Ci voleva, decisamente!
Quando mi asciugai, mi misi a sedere sulla mia amata poltrona. Rimasi in silenzio a meditare per un bel po', mentre fuori la pioggia riprese a cadere.
"Mah....che giornata strana!" pensai. Avevo solo fatto una corsa sotto la pioggia, in compagnia di Keiko. Che cosa c'era di strano? Che forse lei aveva reso non indifferente la mia giornata.
"Che ragazza solare..." pensai. Sorrideva sempre, ogni volta che ci incontravamo aveva il sorriso disegnato sulle labbra. E mi trasmetteva una luce nuova, un nuovo calore.
"Chissà....se diceva davvero quelle cose." dissi, rialzandomi dalla poltrona. Presi in mano il biglietto da visita di Keiko, e lo guardai a lungo. Il suo sorriso, le sue parole, e il suo viso. Avevo voglia di mandarle un messaggio, di ringraziarla....ma di cosa, a parte avermi prestato i suoi vestiti? Quel grazie che le volevo inviare, era qualcosa di più!
"Che faccio? Poi magari la disturbo..." pensai rimettendo sul tavolo il biglietto. Decisi così di rimettermi a studiare, non avevo voglia di perdere altro tempo.
"Prendiamo l'agenda, che devo sapere se il 24 c'è la professoressa Uamura....magari per quel giorno le riesco a dare..." pensai ma il mio pensiero fu interrotto da un piccolo foglio giallo appiccicato sulla pagina:
"Ventiquattro: le ore che ti penso."
"Oh no..." esclamai, alzando gli occhi al cielo. Un altro post-it! Eppure quel giorno era lunedì...e io non c'ero in facoltà.
"Me ne avrà messi altri?!" pensai, e così sbirciai con calma, pagina per pagina, l'agenda. Ce n'erano due che non avevo visto:
"Due: le parole che non ti ho detto."
"Quindici: gli anni che ci separano."
Non ne trovai altri. C'erano solo quelli, gli altri li avevo già staccati.
"Accidenti....ma chi diavolo sarà?!" esclamai, chiudendo l'agenda. Le due parole? Potevano essere "Ti amo", oppure "Ti uccido....chi lo poteva sapere? Poteva esser chiunque e aver voluto dire qualunque cosa! E poi erano quindici, gli anni che ci separavano: poteva parlare di anni intesi come distanza di tempo che non ci vedevamo, oppure intendeva dirmi l'età che aveva. In ogni caso iniziò a girarmi la testa.
"Non ne posso più! Da domani mi porterò l'agenda anche in bagno!" esclamai.
Così preparai la borsa per il giorno dopo, e decisi di mettermi a letto, non prima però di aver mandato almeno un messaggio a Keiko.
"Che le dico?" pensai, col cellulare tra le mani. Attesi qualche minuto, non avevo proprio la più pallida idea di cosa scrivere.
"No...non voglio disturbarla. Magari le scrivo domani!" pensai e appoggiai il cellulare sul comodino. Quella sera non avevo fame, così decisi di andarmene a letto e lasciarmi divorare dai strani pensieri di quella giornata insolita. Spensi la luce e provai ad addormentarmi, nel freddo e buio della mia cameretta. Ma dopo qualche istante una luce si accese di colpo, ed era il telefonino.
"Chi sarà mai?" pensai. Guardai sul display:
"Ciao! Come stai? Che ne dici se giovedì ci prendiamo un caffè in facoltà? Così mi ridai la tuta e mi parli di più del tuo romanzo...". Era Keiko.
Tu-tum! Tu-tum! Pechè il mio cuore balzò a quel messaggio? Era solo un caffè, non un appuntamento romantico!
Così le risposi:
"Ora sto meglio, va bene per giovedì. Magari ti chiamo mercoledì che ti dò la conferma. Grazie e notte..."
Non mi sentivo in pace con me stessa: non avevo risposto a dovere a quel messaggio, eppure ero così sorpresa che non sapevo che risponderle. Tenevo il cellulare stretto al petto, come se in quel momento un messaggio di Keiko fosse stata la cosa più importante.
"Ma che cosa mi sta succedendo?" pensai.
No, non lo sapevo. Forse era l'unica persona, sconosciuta, che credeva in me. Avevo paura di sbagliarmi, ma l'istinto mi diceva di fidarmi di quel sorriso.
Un altro messaggio mi arrivò pochi istanti dopo:
"Attendo notizie allora. Dolce notte. Un bacio..."
Tu-tum. Tu-tum! Un bacio...sulla guancia! Era sicuramente sulla guancia!
Spensi il telefono e cercai di dormire. Chiusi gli occhi ed emisi un lungo sospiro.
"Keiko..." pensai, sognando il suo sorriso. Unica luce di un esistenza solitaria e insicura.
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giovedì 29 settembre 2011

Post-it "1"


"1"

Mi svegliai presto quella mattina. Volevo essere diversa dal solito trucco acqua e sapone, e mettermi qualcosa di più elegante rispetto al jeans e maglietta.
Così mi tinsi le labbra di rosso scarlatto, come le rose della mia vicina di casa, e sulle palpebre disegnai un lungo tratto nero con l'eyeliner, per allungare lo sguardo. Sembravo un altra persona: quella mattina così, all'improvviso, mi sentivo più donna delle altre volte. Certi giorni volevo essere più ragazzina, ma quel giorno provai ad essere più donna e mostrare più maturità. Anche perchè sarei andata ad un incontro abbastanza formale: quello con la professoressa Mauura Fujiko.
Lei era una donna straordinaria: insegnava l'inglese come se fosse stata una madrelingua, organizzava progetti di volontariato, scriveva... il modello di donna in carriera, perfetta. Inoltre era di una bellezza al di fuori del comune! Appunto per la passione che avevamo in comune per la letteratura e la scrittura, provai a proporle un mio libro per vedere se la casa editrice per cui lavorava sarebbe stata interessata alla mia opera. Scriveva vari generi, ma spesso e volentieri erano storie d'amore.
"Bene, ora sono pronta!" dissi rivolgendo un ultimo sguardo allo specchio. Uscii di casa e camminai con molta calma per le vie del quartiere, per raggiungere l'università. Il sole era tiepido, e sentivo che mi avrebbe atteso una giornata sicuramente intensa e produttiva. Lo studio non sarebbe mancato e per di più avrei atteso l'esito della bozza del mio libro che avevo proposto alla signora Mauura Fujiko.
Giungendo nel cortile universitario sentii una voce squillante che mi chiamava.
Era Sakura:
"Hey! Dove pensavi di andare? Non ti fermi nemmeno per salutarmi?!"esclamò Sakura sorridendo dolcemente. Erano settimane che non ci sentivamo più, e nemmeno uscivo con lei, il suo ragazzo e il gruppo di amici. Ero felice per lei, ma in quegli ultimi tempi era diventata più sciocca e bambina del solito. Forse erano Rihito e il suo gruppo di amici ad averla influenzata: in fondo nemmeno loro mi erano mai piaciuti.
"A dire il vero è da tempo che non ci sentiamo...."
"Potresti infatti farti sentire un po' più spesso..."
"Anche tu!" esclamai scocciata. Si stava comportando come se lei per principio avesse avuto ragione. Ma non era così: prima o poi doveva ammettere parte delle sue colpe, come d'altronde facevo sempre io!
"Senti io vorrei invitarti al mio compleanno..."
"Interessante..."
"In che senso?! Da come me lo dici sembra quasi che non te ne importi nulla!" esclamò Sakura guardandomi con perplessità. E io impassibile risposi:
"In questo momento ho ben altre cose a cui pensare..."
Il suo volto cambiò velocemente espressione, e per cercare di coprire le lacrime che stavano per traboccare dagli occhi se ne andò, lasciandomi sola in mezzo alla folla di studenti intenti a entrare in facoltà.
Anche io entrai a lezione, in fondo cos'altro potevo fare? Avevo ragione: lei mi aveva trascurata, era cambiata e pure io l'avevo abbandonata al suo destino che ormai s'era colorato di rosa. Io non avevo le sue stesse sfumature. Non le volevo.
Arrivai a lezione di informatica: i computer occupavano grande parte dell'aula e un sostituto del professore della materia iniziò con la lezione. Mi sedetti in seconda fila, centrale. Ma non avevo tanta voglia di ascoltare. Cercai di seguire l'inizio, poi il mio cervello si scollegò direttamente dalla realtà.
"Perchè non c'è niente che mi soddisfi veramente? Che mi faccia ancora vivere l'ebrezza del piacere di una giovane?" pensai. Il mio sguardo era fisso sul monitor . Tanti programmi, tanti click col mouse. Nessuna ribellione da parte del computer, nessuno stimolo se non obbedire ai miei comandi.
"Sì...in questo momento sono proprio una macchina...senza sentimento." pensai. Dopo un ora intensa di lezione senza pausa decisi di lasciare l'aula e dirigermi in biblioteca.
Studiare, studiare e ancora studiare. Non facevo altro a parte suonare, il volontariato che ormai stavo dimenticando sempre più. Ero chiusa in casa, uscivo per conto mio pochissime volte, da sola. Mio padre mi chiamava una volta al mese, giusto per far credere che lui era ancora mio padre.
Poi? Studio, studio e ancora studio. Così studiai, fino a quando non si fece quasi sera. Arrivò un messaggio sul cellulare:
"Dove posso trovarti per allungarti la bozza?"lessi. Era la professoressa Fujiko, e così le risposi, attendendo dentro la biblioteca, che ormai stava per chiudere.
La signora Mauura arrivò giusto un quarto d'ora prima che chiudesse la biblioteca. Arrivò con passo deciso, senza sorridere, impassibile come sempre. E io l'ammiravo in tutta la sua eleganza e compostezza.
"Buona sera professoressa Mauura!" dissi e lei ricambiò il mio saluto.
Ci sedemmo entrambe e lei mi mostrò la bozza del mio libro corretta.
"E' un vero disastro signorina! Devi ricontrollarlo ancora!"
"Che cosa?! Ma cosa c'è che non va?!" esclamai. Era l'ennesima volta che me lo correggeva.
"Rileggilo ancora. E quando senti che sarà pronta, mi farai sapere!" disse lei e nel frattempo si rialzò.
"Ma..aspetti! Cosa ho sbagliato? Non ha segnato alcun errore..."
"Il contenuto, la storia di queste due ragazze innamorate....non ha senso....devi trovare il vero motivo per cui le lega....il perchè potrebbero coronare questo sogno d'amore. Ti saluto. Pensaci bene..." disse lei.
Rimasi perplessa da quella sua affermazione: forse non avevo espresso bene il sentimento delle protagoniste? O forse era un tema che non piaceva alla professoressa? Una miriade di domande mi vagò in mente facendomi venire un lieve mal di testa.
Non accettai quella semplice correzione, così inseguii la professoressa, che ormai stava uscendo dalla facoltà.
"Professoressa Mauura! Si fermi!" esclamai correndole dietro. Lei si fermò e si voltò con aria perplessa.
"Che cosa vuoi ancora? Non vedi che me ne sto andando?!"
"Sì, ma....che cosa intende lei per trovare il vero motivo? Io il motivo ce l'ho...è l'amore che le lega in questa storia!" esclamai col fiatone.
"Ma non ci siamo ancora! Manca qualcosa: un intrigo, un mistero...qualcosa....un incontro casuale c'è, è vero, dettato da un sogno...ma non basta! Così non entusiasmerebbe nemmeno una copisteria di seconda qualità..." disse lei. In quel momento mi sentii crollare il mondo addosso. Aveva distrutto il mio sogno. Non riuscii a controbattere.
"Arrivederci." disse lei uscendo dalla facoltà.
Rimasi incantata per qualche istante ad ammirare quella figura così elegante, da cui erano fuoriuscite parole di ghiaccio.
"Al diavolo!" pensai, cacciando in borsa con rabbia il manoscritto.
Corsi in bagno, con l'amaro in bocca che ormai mi faceva fuori uscire le lacrime. Non ce la facevo più: non sapevo più se stavo facendo le scelte giuste o sbagliate, facevo tante cose ma quando si trattava di impegnarsi nelle mie opere fallivo miseramente. Maledii quel giorno che avevo riscoperto la mia passione per scrivere. Ebbene sì: ero piccola quando componevo poesie, e sognavo fiabe da raccontare al mondo, a mio padre. Peccato che mio padre non mi ascoltasse, preso da impegni ben più importanti di una bambina che vagava nel sentiero della fantasia. Così pensai che nemmeno il mondo fosse interessato alle mie storie, e chiusi quella passione così importante nello scrigno del mio cuore, gettando via la chiave. Dopo anni di adolescenza, vissute tanto per sopravvivere, un giorno sentii una voce che mi chiamava dentro di me. Una voce che dava colori, immagini e movimenti, nel silenzio che mi avvolgeva come una coperta.
Ricordai bene quel giorno, perchè ero davanti alla tomba di mia madre: il cielo era azzurro, limpido e l'aria era fresca. Il vento mi accarezzò, scostando delicatamente i miei capelli e , come per magia, sentii sussurrare qualcosa. Mi voltai, ma non c'era nessuno.
"La mamma...." pensai. Forse era lei, o forse no, ma quel momento mi spinse per correre a casa e scrivere una piccola storia nel giro di un pomeriggio. Proprio quella storia mi fece vincere un piccolo concorso per racconti a scuola. E fu una delle mie più grandi soddisfazioni, che mi fece ritrovare la chiave per riaprire il cassetto tanto nascosto per troppo tempo.
Però col mio romanzo che avevo continuamente proposto alla signora Mauura non avevo speranze: potevo richiudere il mio sogno nel cassetto e bruciarlo!
"Hey...va tutto bene?" chiese una voce dietro di me. Forse qualcuna era chiusa nei bagni e aveva sentito i miei singhiozzi?
Vidi allo specchio l'insegnante di ginnastica che mi aveva aiutato quella stessa mattina, che mi sorrideva.
Mi asciugai in fretta le lacrime e mi voltai verso di lei.
"Sì...sì va tutto bene!" esclamai con un sorriso forzato. Ma lei si avvicinò e mi guardò intensamente negli occhi.
"Non, è vero...non va tutto bene..." disse lei. Il suo sguardo era insenso e deciso, intento a studiarmi e scavare la verità nei miei occhi. Mi incantai per qualche istante nei suoi occhi neri e lucenti.
"Oggi...non è giornata. E' la giornata delle cadute, e....diciamo mi sono fatta male!" esclamai ironicamente. Lei sorrise e tirò fuori un fazzoletto. In un istante riuscì a catturare una lacrima che mi stava colando sulla guancia. Il suo tocco era caldo e delicato.
"Quando si cade, ci si fa male...ma poi ci si rialza, ricordando quanto sia stata brutta la caduta in passato." disse lei accarezzandomi la guancia e continuando a contemplare il mio sguardo mentre io ero perso nel suo.
Poi mi allontanai cercando di ricompormi.
"C-certo! Grazie...ora mi scusi ma devo scappare a casa..."
"Vuoi che ti accompagni? Tra lo svenimento di prima e ora che stai piangendo avrai bisogno di compagnia....magari posso accompagnarti non fino a casa ma per un buon tratto, così potresti essere più tranquilla..." disse lei. In quel momento non sapevo cosa fare: dirle di no sarei risultata sgarbata. Così annuii accettando l'invito.
Uscimmo dalla biblioteca ed entrambe prendemmo la bici, mentre il sole che tramontava dava allo scenario intorno a noi una sensazione di tranquillità. Ad un tratto, prima di montare sul sellino della bicicletta mi allungò la mano:
"Keiko, molto piacere." disse lei col sorriso. Non mi aspettai una sua presentazione, con così tanta spontaneità.
"Nanako. Pia...piacere mio!" ricambiai con timidezza. Salimmo ognuna sulla propria bicicletta e partimmo alla volta di casa mia.
"Quindi sei una studentessa della facoltà...non frequenti le lezioni?"chiese lei.
"Ultimamente qualche lezione la salto....a volte ne faccio a meno."
"Come mai?"
"Preferisco studiare sui libri che ascoltare, ultimamente."
"Capisco...."disse lei. Qualche istante di silenzio ci separò. Ma poi mi salì stranamente a galla la curiosità.
"E tu? Come mai sei spesso in biblioteca?"
"Beh di solito sono in biblioteca al lunedì, poi spesso ho delle lezioni di educazione fisica alle scuole elementari...."
"Ah, quindi sei una maestra! Che bello!"
"Sì, però sto cercando di fare anche una specialistica giusto per poter insegnare anche nei licei...."
"E come è insegnare ai bambini?"
"E' bellissimo. Sono l'espressione più pura del movimento, quella più spontanea....mi diverto molto." disse lei con un grande sorriso.
"Ah..." pensai, colpita non tanto dal suo entusiasmo, ma da quel sorriso così raggiante. Brillava così tanto che copriva la vista del sole che tramontava.
Finalmente giungemmo a casa mia, e così ci salutammo:
"Mi raccomando, abbi cura di te." disse lei sempre col sorriso e una grande dolcezza. Mi sentivo sciogliere da quelle parole che nessuno prima di allora mi aveva mai detto.
"Ce-certo....anche tu Keiko..."dissi. Poi si voltò per andarsene, ma qualcosa mi diceva di fermarla:
"He-hey aspetta!" esclamai. Keiko si fermò di colpo e si voltò con aria sorpresa.
"Dimmi..." disse. Non riuscivo a emettere alcuna parola. Mi sentivo soffocare da una strana palpitazione.
"Ehm...spero...spero di rivederti presto in facoltà!" esclamai col sorriso. Il mio respiro si faceva sempre più affannoso. Lei nel frattempo mi sorrise.
"Senz'altro! Ciao..." disse lei e quel saluto pareva, mentre si voltava per andarsene, come se fosse sussurrato dal vento.
"Ma....che cosa diavolo..." pensai, riponendo la bici.
Ero ancora stordita: non capivo cosa mi stesse succedendo. Quel semplice "abbi cura di te" era stato capace di sconquassare il mio animo. Una coccola, una piccola attenzione, detta col sorriso. Sembrava niente, una frase qualunque. Eppure mi aveva fatto riscoprire di avere un cuore.
"Mi ha detto solo di avere cura di me...." pensai mentre preparavo la cena.
"Eppure...mi sento meglio..." conclusi, e stranamente un lieve sorriso si disegnò sul mio volto. No, non era un giorno qualunque. Qualcuno con poco aveva cambiato la mia vita. Ed era Keiko.
"Keiko..." pensai. Uno strano sussulto al cuore mi fece precipitare in pensieri celesti come era di solito il cielo che intravedevo in quelle giornate piene di pensieri.
Mentre cenai pensavo a lei: il suo sorriso, i suoi occhi lucenti. La sua tenerezza e preoccupazione verso una ragazza qualunque. Non era da tutti. Stranamente però pensare a lei mi fece tornare la voglia di rimettermi in gioco con il mio manoscritto da rivedere per l'ennesima volta.
Tirai fuori il libro un po' stropicciato e lo guardai.
"Forse è una storia che non piacerà mai....eppure....quella storia la sento come mia.... maledetto sogno, di quella notte di un anno fa!" pensai. Ebbene sì, precisamente un anno prima feci uno strano sogno. Ero vestita di bianco, in una stanza piena di petali di rose sparse per terra. E ad un tratto mi sento cingere con decisione le spalle da due mani, ma la presa era delicata e le mani sono quelle di una donna. Mi voltavo, e due labbra piombarono sulle mie strappandomi un lunghissimo ed intenso bacio. Un bacio di una donna, così intenso che pareva reale, da lasciarmi al risveglio un retrogusto di fragola.
"Che storia....forse per la signora Mauura non ha senso, eppure....dovevo scriverlo...il mio sogno ha senso!" pensai. Decisi però che, prima di rivedere la bozza, era meglio se avessi preso la mia agenda e avessi organizzato la settimana che mi attendeva.
"Bene, bene....cosa c'è da fare la prossima settimana?" pensai e proprio in una pagina della settimana, il primo di giugno, trovai un post-it:
"Uno: come te non c'è nessuna..."
"Ma che...." esclamai, tirando via il post it. Lo cestinai, come avevo fatto con gli altri e continuando a pensare che si trattasse di uno scherzo di qualcuno che passava per caso, in mia assenza, vicino alle mie cose. Magari ero in bagno, e quella persona si stava prendendo gioco di me, riempiendo ogni lunedì i miei libri con dei post-it.
"Aspetta un momento..." pensai. La mia mente s'illuminò all'istante.
"Oggi è lunedì.....e i post-it....li trovo sempre sui miei libri di lunedì!" pensai. I pensieri si fecero sempre più fitti e i sospetti sempre più grandi. Lasciavo sempre le mie cose in biblioteca sui banchi, perchè mi fidavo dei custodi, ma a quel punto non mi potevo nemmeno più fidare di loro. Erano forse i custodi a farmi questi scherzi? O forse qualche studente che rimaneva il lunedì a studiare? Le pensai tutte quella notte, giradomi e rigirandomi nel letto.
"Non si può continuare così....devo indagare! E poi il gioco è bello quando è corto..." pensai infine, cercando di prendere sonno.

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mercoledì 28 settembre 2011

Post-it "20"


"20"

Dopo una settimana diedi l'esame di psicologia applicata. Il massimo dei voti ovviamente, come sempre! Non c'era nemmeno più il brivido di dare gli esami: sapevo già l'esito, come sarebbe andata a finire. Era tutto così prevedibile. Avrei gradito qualche sorpresa, qualche imprevisto, un voto basso. Invece tutto era perfettamente calcolato e con ottimi voti. I professori della mia facoltà erano entusiasti, e vedevano in me un grande esempio di studentessa universitaria. C'era soprattutto un professore che mi lodava per le mie doti e qualità universitarie: il govane professor Hiroshi.
"Buongiorno professor Hiroshi!" esclamai, arrivando alla macchinetta del caffè. Quando lui alzò lo sguardo verso di me fece un grande sorriso.
"Signorina Miyazaki, buon giorno a te! Gradisci un caffè?" chiese lui.
"Sì, grazie, ma ci penso io." dissi, prendendo il mo portamonete. Purtroppo non feci in tempo a tirare fuori gli spiccioli che lui aveva già inserito e selezionato la bevanda.
"Ma professore, ci avrei pensato io..."
"Non si preoccupi! Anzi, prima o poi te lo avrei offerto più che volentieri!" disse lui.
"La ringrazio lei è troppo gentile...anche oggi è impegnato tutto il giorno?"
"Sì, purtroppo sono impegnato tutto il giorno. Ahimè, c'è così tanto da fare, e così poco tempo...."
"Eh già...come la capisco!" dissi. Era sempre volenteroso ad aiutarmi e pieno d'entusiasmo. Era un genio: nonostante avesse ben una laurea e una specializzazione in psicoterapia musicale, quindi tanto lavoro da fare, era impegnato in ricerca universitaria e suonava a grandi concerti di musica classica . Suonava il pianoforte: era il suo più grande amore, e diceva che ogni volta si perdeva a suonare per ore e ore appena aveva un po' di tempo per sè . Anche nella nostra facoltà c'era un meraviglioso pianoforte e qualche strumento musicale, utilizzati soprattutto da lui per spiegare le tecniche di musicoterapia . Non mi era mai capitato di sentirlo, ma ogni volta che mi raccontava dei suoi concerti era come vederlo suonare dal vivo!
"Scappo a studiare, a presto e buona giornata! La ringrazio ancora per il caffè!" dissi e lui ricambiò il saluto. Corsi in biblioteca a studiare per l'esame che avrei dovuto dare quattro giorni dopo. Ogni lunedì ero in biblioteca: adoravo quel posto! Era il mio paradiso, la mia culla, il paese delle meraviglie. Avrei tanto voluto vivere per sempre lì dentro, ma ahimè mancavano il letto e i viveri. Ad un certo punto si doveva essere realisti, e tornare con i piedi per terra!
Mi misi al solito posto e alla stessa ora con la pila di libri che non vedevano l'ora di essere sfogliati dalle mie esili mani. Nel frattempo misi un post-it appiccicandolo sul tavolo, scrivendo sopra che dovevo ricordarmi di andare in aula informatica per chiedere delle informazioni riguardo un programma.
"Bene! Iniziamo!" pensai e con decisione aprii il primo libro che mi capitò tra le mani. Psicoanalisi: non era delle materie più facili, ma sicuramente bastava qualche schema e qualche istante in più di lettura e lo avrei imparato. La mia più grande capacità era la memoria: ricordare quante pagine aveva un libro, di cosa trattava in una certa pagina. Mancavano solo le virgole e potevo dettare io stessa un libro! Dopo un ora concentrata sempre sulle stesse venti pagine decisi di prendermi una pausa caffè. Così misi il segno alla pagina venti, presi il mio borsellino con portafogli e telefono e mi avviai verso la macchinetta appena fuori dalla biblioteca.
"Uff...che stanchezza. E oggi ho solo da studiare!" pensai, guardandomi attorno mentre attendevo il caffè. Amici e amiche che interloquiavano, poi due coppie che si tenevano per mano ridendo e scherzando.
"Che invidia." pensai. Le mie amiche ormai si erano fidanzate tutte, e dato che ero presa dallo studio avevano perso le speranze di farmi uscire.
"Che schifo!" pensai, deglutendo un goccio di caffè amaro. Ero talmente presa dalla rabbia verso il mondo che mi circondava che mi ero persino dimenticata di mettere lo zucchero!
Decisi di berlo comunque bollente e senza zucchero: la vita era già abbastanza amara di suo, d'altronde! Cos'era un caffè amaro in confronto?
Tornai dentro la biblioteca: ancora un grande silenzio mi circondava, mentre non c'era nessuno a parte i due bibliotecari.
Riaprii il libro al segno che avevo lasciato, alla pagina venti:
"Venti, i passi che ci separano. Sei ancora così lontana..." lessi su un post-it appiccicato al centro della pagina.
"Ma cosa..." pensai, prendendo il post it e rileggendolo nuovamente. Ancora una volta, c'era un post-it appiccicato su uno dei miei libri.
"Ancora! Un altra volta...ma chi può essere?" pensai, ma poi scocciata e non dandoci troppo peso presi il post it e lo buttai nel cestino.
Continuai a studiare per tutto il pomeriggio e non avevo minimamente toccato cibo. In effetti ne risentii dato che mi venne un forte mal di testa all'improvviso, proprio mentre scendevo le scale con l'intento di tornare a casa. Rischiai di cadere come un pero ma per fortuna qualcuno mi aveva presa al volo. La sua presa era forte e decisa, mi sentii per un istante come al sicuro. E stranamente era la presa di una ragazza, una giovane insegnante che ogni tanto si fermava in biblioteca per leggere qualche libro sullo sport.
"Gr-grazie!Ch-chiedo scusa!" Esclamai alzandomi con imbarazzo.
"Non ti alzare di scatto! Sennò rischi di perdere i sensi! Non hai mangiato, vero?" chiese lei, accarezzandomi la fronte. Io timidimante annuii.
"Ti aiuto a rialzarti..."disse lei, e pian piano mi rialzò. Mi sentii un po' stordita, ma almeno avevo ripreso i sensi e stavo meglio. Mentre mi rialzava sentii il suo profumo: era così intenso e dolce, come le rose. Mi allungò una bottiglietta d'acqua ma la rifiutai.
"No grazie... non ce n'è bisogno....davvero!" esclamai, indietreggiando.
"Sei sicura?" chiese lei guardandomi col sorriso. Quel sorriso così luminoso risaltava gli zigomi e i lineamenti del suo viso giovane e maturo. I capelli erano tagliati a caschetto, un po' spettinati, e davano al suo collo un tocco tonico e seducente.
"Ehm...sì! Sì! Buona giornata!" esclamai salutando la ragazza e mi dileguai , pensando alla grande figuraccia che avevo fatto, dato che in molti erano rimasti ad osservare anche solo per qualche istante la scena.
"Accidenti che figura!! Però..." pensai, rivedendo nella mia mente la mia caduta. Non ci avevo fatto caso subito, ma nonostante lei fosse magra aveva molta forza e una buona muscolatura . La cosa che mi colpì inoltre era lo sguardo: era bellissimo. Non l'avevo mai notato da così vicino dato che era sempre seduta lontano da me, lontana da sguardi indiscreti. E poi aveva un sorriso splendido, con un paio di labbra rosa chiaro, lucide.
"Oh, ma che sto pensando!!" pensai scuotendo la testa e aprendo la porta di casa. Entrai finalmente nel mio piccolo mondo dove nessuno aveva mai avuto accesso fino ad allora.
"Casa...dolce casa...." pensai, gettando la borsa con i libri sulla poltrona. Mi fiondai in cucina e preparai un insalata e una frittata.
Avevo una gran fame, che decisi persino di concedermi un po' di gelato al cioccolato che mi ero tanto promessa di non mangiare più.
"Buon appetito!" esclamai da sola. Ma ad un tratto qualcuno suonò alla porta. Accidenti, pensai!
"Chi è?" chiesi.
"Sono Yu."
"Ah, ciao Yu!" esclamai sistemandomi un attimo i capelli allo specchio. Era un ragazzo dai capelli biondo ossigenato che abitava proprio di fianco a me. Anche lui era uno studente universitario, ma in più lavorava alla sera e , appena aveva un po' di tempo libero mi veniva a trovare. Avevo bisogno di soldi e vendevo libri di esami che avevo già passato. Aprii la porta e lo feci accomodare.
"Sono un po' di fretta, e ti volevo chiedere riguardo i libri.... Ci sono tutti?"
"Si! Ecco quà!" dissi e gli allungai il mucchio di libri.
"Grazie mille! Non so come farei senza di te....piccolo genietto!" disse lui.
"Già....sei sempre il solito! Quando hai intenzione di laurearti seriamente?"
"Quando avrò la testa a posto!"
"Ah già...è vero che tu non sei tanto a posto..." dissi io ridendo.
"Bene, scappo al lavoro! Ci sentiamo!"
"Mi raccomando! I bocconcini alla nutella!" esclamai mentre si incamminò
"Tranquilla! Te ne porto un sacco intero!" esclmaò lui col sorriso. Chiusi la porta e mi sentii per un po' sollevata. Dopo una giornata strana, il post-it e il giramento di testa, potevo pensare di rilassarmi tra le grandi e morbide braccia della mia poltrona.
"Ah...ora sì che sto bene..." pensai. Infine mi addormentai e sognai ancora una volta il post-it.
"Venti, i passi che ci separano. Sei ancora così lontana...". Quella frase suonava nella mia mente come un eco in lontananza. Perchè continuava ad assillarmi così tanto?























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martedì 27 settembre 2011

Post-it "100"


"100"

"Uff..."sbuffai.
Era una bellissima giornata di sole e il suo calore mi scaldava le braccia mentre tenevo chiusi gli occhi, rivolgendo il volto verso il cielo.
Stavo sdraiata sul verde prato dell'università dove studiavo, durante la pausa delle lezioni. Era un giorno come gli altri, dove le uniche mie fedeli compagne erano i miei pensieri.
Pensieri di solitudine, di angoscia, e domande su domande si sovrapponevano costruendo un immenso castello illusorio.
"Perchè?" pensai. Poi aprii gli occhi, e cercai di immergermi nell'azzurro del cielo. Era un colore così limpido e intenso che veniva voglia di volare. Eppure mi sentivo così terribilmente pesante, per colpa dei miei pensieri.
"Perchè...sono così....vuota? Eppure...mi sento così...pensante!" conclusi, sbuffando nuovamente.
Il silenzio mi circondava, come se improvvisamente fosse finito il mondo. Nessuno passava, le voci erano assenti. Qualche uccellino cinguettava, forse. Ma ero così immersa nel cielo azzurro che preferivo ascoltare la dolce ma malinconica melodia del silenzio.
Di colpo udii la massa di ragazzi e ragazze, camminare rumorosi e chiacchierando, avvicinarsi.
Il tormento dei miei pensieri cessò all'istante, per farmi precipitare nella mia realtà di ambizione e perfezione che era l'università.
Mi rialzai e controllai l'orologio. Erano le due e passate del pomeriggio, ormai era giunto il momento di dirigersi in biblioteca e studiare; così presi la tracolla con tutti i libri e i miei manoscritti.
Non ero riuscita a scrivere nulla quel giorno, e mi sentivo abbattuta, vuota, priva d'ispirazione. Però il dovere mi chiamava, e dovevo studiare, fare tante altre cose.
Per di più attendevo il responso da parte di un insegnante della mia università riguardo un manoscritto che le avevo allungato: speravo che lo riuscisse a proporre ad una casa editrice, dato che lei ci lavorava. Peccato che ormai era un mese che lo leggeva e....me lo rimandava indientro! Il tutto perchè mancava qualcosa. Avevo ormai perso il conto di tutte le volte che ci eravamo incontrate per rivedere e commentare il manoscritto. Stavo per perderci le speranze, nonostante scrivere fosse una delle mie poche passioni che mi toglievano dalla mia solita vita. Forse era quello il motivo per cui sentivo iun grande vuoto dentro di me? No, non era solo quello. Cercavo di darmi sempre delle risposte razionali, non troppo sentimentali. Così pensai che, per colpa della mia ambizione, il vuoto dentro me fosse nato perchè avevo perso molti amici. O forse erano loro che non avevano mai accettato il fatto che fossi migliore di loro?
Una ragazza determinata, studiosa e indaffarata non poteva sempre attendere gli altri. Tanto valeva salutarli, lasciando che loro ti mandassero a quel paese e ti dessero della asociale.
"Mah...che invidiosi!" pensai allora.
Arrivai in biblioteca e iniziai a tirare fuori l'agenda, su cui erano segnati vari impegni: università, pianoforte, incontro con la professoressa per il manoscritto, doposcuola. Quelli erano ormai divenuti il mio mondo.
"Quante cose da fare..." pensai. Una persona qualunque sarebbe stata etusiasta di avere così tante faccende da sbrigare, nella speranza che tutto ciò avesse reso qualcosa in futuro.
Io non lo ero. Ero così a terra che avrei preferito cancellare qualsiasi impegno pur di rimettermi sdraiata su quel prato verde dell'università, cercando di pormi talmente tante domande da schiacciare il mio cuore come una noce.
Si fecero le sei e pensai di lasciare l'università per dirigermi a casa. Attraversai i corridoi vedevo sfrecciare veloci gli studenti e i professori intorno a me, mentre passeggiavo con calma, con la pesantezza della giornata e del sapere ormai inglobato che si faceva sentire. All'improvviso mi sentii chiamare:
"Nanako! Aspettami!". La sua voce affannosa e squillante la riconobbi tra mille.
Era Sakura, molto probabilmete aveva appena finito la lezione di psicologia generale. Le avevo detto che l'avrei accompagnata a lezione, ma alla fine preferii fare altro.
Non vedevo l'ora di essere a casa.
"Sakura.... Cosa c'è?" chiesi. Aveva un gran fiatone per la corsa che aveva fatto per raggiungermi.
"Non ti ho vista a lezione!" esclamò lei .
"Non mi hai vista? Ero in fondo...." dissi, mentendole spudoratamente.
"Sì, come anche l'altro giorno, che in realtà ti sei addormentata sul giardino dell'università?!"esclamò acida, scoprendo la verità. Nonostante tutto non provai vergogna per averle mentito.
"Va bene! Va bene....lo ammetto, oggi volevo starmene per conto mio. Scusami..." replicai, un po' scocciata.
"Comunque volevo riferirti una bellissima novità!"
"E sarebbe?" chiesi. Lei fece un grande sorriso.
"Io e Rihito....ci siamo messi insieme! Finalmente si è dichiarato e così...ci siamo baciati. E' successo tutto così in fretta! Scusa ma ora scappo, che lui mi sta aspettando all'uscita! Ci sentiamo così ti racconto meglio!" esclamò lei e si dileguò velocemente, mimetizzandosi nella folla di studenti che uscivano.
Io invece rimasi lì, ferma e immobile, pensando alla sua felicità e alla mia solitudine e monotonia.
"Io? Perchè non ho novità?"pensai, guardando verso il vuoto. La gente continuava a passarmi di fianco, come se fossi un semplice fantasma.
"Mah..." pensai e ripresi il mio cammino verso casa. Montai sulla mia bicicletta e in pochi minuti mi ritrovai nel mio piccolo appartamento, l'essenziale per vivere da sola.
"Casa dolce casa..." pensai, chiudendo la porta dietro di me. Quella sera l'avrei trascorsa in casa. Forse sarei dovuta uscire con Sakura, ma lei ormai viveva nel suo mondo rosa e fiori. Sola, sola e ancora più sola. Preferivo rimanere da sola, piuttosto che sentire cinguettare Sakura nel suo idillio d'amore. Chiudermi nel mio mondo, studiare, dedicarmi alla musica e ai miei libri era la cosa migliore.
Mi tolsi le scarpe e camminai con le pantofole a forma di gatto nero con gli occhi gialli. Era ormai ora di cena, ma quella sera non avevo fame. Al massimo avrei sgranocchiato qualche patatina sfiziosa a forma di orsacchiotto accompagnata da una coca cola.
"Casa...dolce casa..." pensai, mentre presi uno dei miei libri scritti a mano e mi misi a sedere sulla poltrona, al centro del minuscolo soggiorno. Iniziai a leggere, nel silenzio. Ma poi di colpo caddero due lacrime dal mio viso, e chiusi il libro per non bagnarlo.
Quelle lacrime disegnavano ogni giorno il mio grande vuoto. Facevo ogni cosa, vivendo le mie passioni, ma non mi sentivo in pace con me stessa.
Non potevo parlarne con nessuno....non volevo. Chiudevo il mio vero essere fragile, quel vuoto così potente , per paura di essere scoperta e giudicata come una ragazza qualunque.
Diedi un forte pugno alla poltrona. Ormai essa era divenuta una grande compagna di sfogo: parlavo con lei, mi sfogavo con lei. E lei taceva, e pazientemente ascoltava, circondandomi e coccolandomi con le sue grandi braccia di pelle rossa.
Improvvisamente il cellulare suonò.
"Chi sarà?" pensai, asciugandomi le lacrime. Guardai sul display, ed era mio padre che mi chiamava. Risposi alla telefonata, ovviamente sapevo che sarebbe stato rapido e coinciso come sempre.
Mi chiese come stavo, se studiavo e se fra poco ci sarebbe stato qualche esame. Risposi con qualche vago monosillabo, e lui non cercò minimamente di farmi uscire dalla bocca altre parole. Da quando era morta mia madre si era spento, a tal punto da mostrarsi quasi formale con me, come se fossi stato una sua dipendente di lavoro o una persona qualunque.
"Bene ci sentiamo presto allora. Ciao." disse e riagganciai.
Quelli erano i momenti più inutili della mia vita: perchè chiamare se poi nemmeno avevamo più una relazione o un legame così importante, come doveva avere un padre e una figlia? Per fortuna che avevo le mie passioni oltre allo studio, ma erano un segreto. Non volevo dirglielo perchè temevo il suo giudizio, ma al tempo stesso ero così fiera di ciò che stavo facendo che lo avrei supplicato pur di venirmi a trovare un giorno a suonare o aiutare i bambini a fare i compiti. Sembrava così semplice. Eppure in realtà era così complicato!
"Basta adesso piangere! Studiamo un po', almeno mi rendo utile per qualcosa..." pensai, e così presi la borsa e tirai fuori il libro di psicologia applicata. Lo aprii precisamente alla pagina cento, che avevo segnato su un post it in agenda come promemoria. Ad un tratto però, quando aprii il libro vidi qualcosa che occupava la parte centrale della pagina cento:
"Cento: i battiti del mio cuore, vedendo te." lessi su un post it, attaccato alla pagina cento.
"Eh?" pensai, leggendo e rileggendo quel post-it. Come poteva esserci un post it del genere sul mio libro? E perchè sul mio libro?
"Oh... al diavolo! Sarà stato lo scherzo di qualche idiota..." pensai, stringendo il post it nella man per ridurlo ad una piccola pallina di carta fluorescente.
Gettai il foglietto nel cestino e ripresi a studiare dalla pagina cento. Lessi e rilessi la pagina più e più volte, perchè non ero per niente concentrata. Dopo un quarto d'ora compresi che i miei pensieri erano ancora smarriti su quel pezzetto di carta gettato nel cestino.
"Accidenti! Perchè devo perdermi in certe cose?! Presto avrò un esame e non posso perdere la concentrazione...." pensai sospirando e rivolgendo lo sguardo verso il soffitto.
A quel punto conclusi che non era più possibile studiare perdendosi in certi pensieri. Accesi la tv e mentre mangiavo qualche patatina facevo zapping: ovviamente come al solito non c'era nulla di interessante. Così spensi la tv, dopo una mezz'ora passata inutilmente a cercare un canale decente.
"Cento: i battiti del mio cuore, vedendo te." pensai. Rimuginai quella frase come se fosse stato un rombo di tuono in lontananza.
"Mah!" pensai infine e mi misi a lavare i piatti, con l'intenzione di andare a letto presto.

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Sto pensando. Sì, sto pensando che potrei mostrare al mondo alcune mie creature...
Scrivo sempre, ogni giorno della mia esistenza, immagini che fanno battere il cuore.
Forse...potrei far battere il cuore anche agli altri. Passo dopo passo, parola dopo parola...sembra un cammino. Un cammino nelle sfumature di vari colori.
Vorrei provarci, scrivendo al mondo intero...per poterlo cambiare!

A dream for a Princess

Passeggio tra le vie del fitto bosco che è il mio cuore. Lì corro, salto, mi perdo tra un ramo e l'altro del bosco. Come se niente fosse....come se il tempo si fosse fermato. Eppure i miei sogni continuano a correre. E io corro con loro.
Li vedo e li sento, perchè mi fanno battere il cuore. Sono come lucciole invisibili all'occhio umano, ma io le vedo, sono come stelle diurne che vagano senza meta. E io le voglio, le desidero più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ho paura però, così paura che inciampo in quelli che sono i problemi d'una vita da sognatrice.
Cado. Rimango a terra, inerte e silenziosa. E infine piango, perchè ho perso le mie stelle diurne. Le ho perse! Le ho perse, e continuo ad urlare. Lacrime amare disegnano righe nere sulle mie guance. Ma poi davanti a me, qualcosa c'è. Si svela, in tutto il suo splendore.
Piccolacorona d'un argento così lucente, che quasi m'abbaglia. La sua luce scalda il mio cuore ormai gelato da quella caduta così improvvisa, così devastante. Ma la forza d'alzarmi mi prende le gambe, come per magia. Rialzandomi pian piano m'avvicino a quella corona così bella.
La tengo tra le mie mani, e proprio in quel momento la tengo stretta al petto. Quello è il parto delle mie stelle diurne.
Così la indosso, sul mio capo. Il mio premio, d'una reazione a un problema così grande: la paura di sognare. Da allora continuo a correre, passeggiare e saltare nel bosco del mio cuore, il mio piccolo regno. Un regno di cui io sono principessa.MyFreeCopyright.com Registered & Protected

Welcome in Momo's Wonderland

 La mia mente: la scatola dei miei sogni. 
I sogni: tutto ciò che mi fa battere il cuore.
I battiti del mio cuore....i passi nel Paese delle Meraviglie.
Ciò che vede il mio cuore,
è quello che vedi anche tu.
Le fotografie di un sogno,
dipinti di Wonderland.