Nanako riprenderà a scoprire nuovi post-it da Lunedì.
Ora Momo ha intenzione di perdersi in questo Week end di relax alla scoperta di nuove immagini e emozioni! Nel frattempo potete lasciare un segno di voi, nella Momo's Island.
Auguro un buon week end, a chi mi legge, e chi mi leggerà.
Ohyasumi nasai....buona notte.....
Momo
Mi chiamo Momo, e sono piccola, spettinata e dice cose! Sorrido, dico cose sulla mia vita, Lato Oscuro, Steampunk, chiacchiere, caffè e ...maledizione!
venerdì 30 settembre 2011
Post-it "24"
"24"
Lunedì era giunto, e una nuova settimana ricominciava. Avrei risistemato il romanzo che avevo in mente, avrei studiato, e ....avrei pensato al responsabile di quei post-it! Ci pensavo spesso, era ormai diventata una mia ossessione da giorni. Chi era? Chi poteva essere!?!? Una cosa era successa però: quel lunedì incontrai nuovamente Keiko. No, non ero nella solita biblioteca: quel giorno non ne avevo voglia. Decisi di alzarmi sul tardi, mangiare un boccone a casa e andare a fare attività fisica. Così al pomeriggio sottosera uscii, nonostante il cielo fosse grigio. Mi misi a fare jogging nel parco vicino casa, e ad un tratto vidi una figura familiare che stava facendo stretching sotto un enorme albero di ciliegio. Era una ragazza dalle forme toniche e definite, con i capelli raccolti in un grande chignon e qualche ciocca che scendeva sul suo viso. Era proprio lei, Keiko. La osservai per un po': lei, mentre eseguiva gli esercizi teneva gli occhi chiusi. Pareva fosse in un altro mondo. Non volevo disturbarla, ma la tentazione di chiamarla era più forte di me:
"Keiko!" esclamai. Aprì gli occhi, e si voltò verso di me, perplessa. E così mi vide.
"Ehm...scusa ti...ho disturbata?!" chiesi. Lei mi sorrise.
"No. Tranquilla. Che cosa ci fai quì?"
"Stavo facendo jogging...." dissi io avvicinandomi.
"Vuoi fare un po' di stretching con me?" mi chiese.
"Non...non vorrei disturbarti...ti vedo molto presa dai tuoi esercizi..."
"Se ti sto chiamando per fare esercizi con me, non disturbi affatto..." esclamò lei con un grande sorriso. Quel sorriso era un grande bagliore, più di un raggio di sole. Eppure quel giorno, non c'era il sole: c'era un cielo grigio e che avrebbe promesso pioggia da un istante all'altro.
"Va bene..." risposi. E così iniziai a fare un po' di stretching al suo fianco. Una leggera brezza mi accarezzò le braccia e le gambe. Un piccolo brivido percorse la mia schiena, e dopo qualche istante sentii qualche goccia colpirmi la fronte.
"Inizia a piovere!" esclamai alzandomi in piedi di scatto.
"Già! Seguimi! E di corsa!" esclamò lei, mettendosi a correre lungo la via. La seguii di corsa, per un paio di minuti. Una corsa sotto la pioggia umida e seguendo una ragazza appena conosciuta: tutto così, improvvisato. Eppure seguii il mio istinto. Non mi frenai ai semplici impegni universitari, quel giorno mi girava così. Era da tempo che non mi sentivo smarrire, volevo perdermi in qualcosa, ma non sapevo bene di cosa si trattasse.
Arrivammo ad una palazzina ed entrammo. Percorremmo una scala e dopo qualche gradinata arrivammo alla porta d'ingresso. Iniziai ad avere i brividi: ero bagnata fradicia!
"Prego accomodati!" disse Keiko, e ci levammo le scarpe per entrare.
Quando entrai vidi un appartamento dalle pareti molto semplici e bianche, con molti ripiani pieni di libri. Aveva un bellissimo divano al centro del piccolo soggiorno, color verde acqua. A vederlo sembrava morbidissimo, ed ero tentata di sdraiarmici al volo!
"Forse è il caso che ci asciughiamo...ti mostro il bagno, così ti do anche un cambio mentre aspetti che si asciughino i vestiti.." disse Keiko, e mi accompagnò al bagno. Era molto piccolo e con fantasie sulle pareti tutte strane, dello stesso colore del divano.
"Per caso adori il verde acqua?" chiesi, mentre mi di dosso gli abiti bagnati.
"Sì, è il mio colore preferito! Amo le sfumature dell'azzurro e del verde acqua..."disse dall'altra stanza.
Mi misi un salviettone azzurro addosso, e mi asciugai. Nel frattempo Keiko bussò alla porta del bagno:
"E' permesso? Ti appoggio quì una mia tuta, almeno tieni quelli per adesso." disse entrando ed appoggiando i vestiti.
"Gr-grazie..." replicai timidamente. Ero un po' in imbarazzo, indossare una tuta di una persona che conoscevo da troppo poco tempo...era strano. Eppure la sensazione di una tuta di cotone grigia e morbida, era bellissima. Uscii dal bagno, dopo aver ripiegato accuratamente il salviettone e averlo riposto al suo posto.
Lei si era messa una maglietta a maniche corte nera e un paio di leggins viola e si stava asciugando con un altra salvietta azzurra i capelli.
"Cavoli ti sta bene....forse un po' larga! Dovresti mangiare di più o fare più esercizio fisico, così acquisisci massa muscolare!" disse col sorriso.
"Già, in effetti hai ragione...po-posso sedermi?"
"Certo, prego!" disse lei invitandomi a sedermi sul divano verde acqua. Mi guardai intorno, e mi misi seduta . Il divano era davvero morbido: sprofondavo e quasi ti invitava a sdraiarmi.
"Ti porto qualcosa di caldo?" chiese lei, mentre si fiondava in cucina.
"No, niente, grazie." risposi. Mi misi ad osservare tutti i ripiani pieni di libri e la mia curosità saliva sempre di più.
"Chissà che libri saranno." pensai e così mi rialzai e mi avvicinai ai ripiani. Ce n'erano di diversi generi, ma tutti sistemati per genere e separati da una mattonella di legno rosso: cucina, sport, medicina e fitness. Si vedeva che era un insegnante di educazione fisica!
"C'è qualche libro che ti interessa?" chiese lei, catturando la mia attenzione. Per un istante mi sentii colpevole, perchè ero andata a ficcare il naso in cose che non erano mie, e per di più a casa di una persona che conoscevo poco.
"Ehm...beh diciamo che i generi che preferisco sono altri, ma i libri di cucina non li disdegno." dissi con lieve imbarazzo.
"E che altri generi ti piacciono?" chiese.
"Romanzi d'amore, racconti fantastici....ma più che leggere io scrivo."
"Scrivi? E hai già pubblicato qualcosa?"
"Avevo vinto un premio molto tempo fa...ora sto ricontrollando un romanzo che ho scritto da poco...."
"Di cosa tratta?" chiese lei con curiosità sedendosi sul divano.
"Di.... di una storia d'amore..." risposi. Ero nervosa, non le volevo dire certi risvolti, mi vergognavo molto. Mi vergognavo del mio stesso sogno...che tristezza!
"Ti va di raccontami qualcosa? Oppure devo aspettare la sua pubblicazione?" chiese . In quel momento mi tornarono alla mente le critiche gelide della professoressa Mauura, e di colpo mi si riaprì una ferita che sembrava si fosse rimarginata. Tutta un illusione...pure il mio sogno di pubblicare un libro era un illusione! Mi salì un grande magone:
"E' inutile che aspetti....tanto non me lo pubblicheranno mai."
"Perchè dici questo?" chiese lei con espressione perplessa. Le parole della professoressa Mauura mi avevano ferita profondamente, nonostante io avessi provato a non darci più di tanto peso.
"Perchè è vero....ha una storia ma non ha il tocco magico che dovrebbe avere per esser pubblicato..." replicai, sedendomi. Una strana tristezza si stava prendendo gioco di me, e la meta sembrava così lontana.
"Se tu ci credi...è già una magia." disse lei.
"Dici?" replicai. Non ero dello stesso parere, avevo un pessimismo e un vuoto in quegli ultimi tempi che mi veniva quasi voglia di dar fuoco ad ogni mio sogno. Forse anche perchè ero sola...e nessuno credeva nella forza dei miei progetti.
"Sì. Se ci credi, te lo pubblicheranno. E' normale che non si riesca subito...."
"Ma è da tanto che ci sto sopra...possibile che ci sia davvero qualcosa di sbagliato?! Io non credo!" esclamai con nervoso. Poi però cercai di ripigliarmi, e chiesi scusa a Keiko per la mia reazione.
"Non c'è bisogno di scusarsi...hai ragione ad essere arrabbiata, ma la stessa energia che è in te la devi usare per realizzare quel sogno!" disse lei appoggiando una mano sulla mia. Quel calore, quella sensazione.....sembravano le stesse del sogno che feci quel giorno. E da cui avevo tratto la storia per il mio romanzo.
"Fo...forse hai ragione..." dissi e la guardai negli occhi. Il suo sguardo era così profondo che ci potevo nuotare. Era bellissimo, e ricordava quello di mia madre.
"Mamma...." pensai. Quanto mi mancava una sicurezza...quanto mancava mia madre! Eppure Keiko...mi ricordava mia madre.
"Oggi hai corso per arrivare ad una meta, nonostante la pioggia ti colpissa. Così è la stessa cosa per il tuo romanzo." disse lei col sorriso.
"Già..." replicai. Qualche istante di silenzio ci separono, e mi accorsi che aveva appena smesso di piovere.
"Finalmente ha smesso. Però c'è un po' freddo..." disse lei con sconforto.
"Sarà meglio se mi avvio a casa." replicai.
"Allora vado a prenderti i vestiti." disse lei e si alzò. Mi alzai anche io.
"Vado in bagno a togliermi la tua tuta allora..." dissi
" Ma i tuoi vestiti sono ancora inzuppati! Te li metto in un sacchetto, intanto ad andare a casa ti tieni la mia tuta...."
"Cosa? Ma poi quando te la restituisco!?" esclamai.
"Quando vuoi! Io ne ho diverse, non ti preoccupare...."
"No ma almeno...dammi il tuo numero che io ti do il mio.... così....so quando sei libera un attimo e ti restituisco la tuta!" replicai, mentre lei tornò da me con un sacchetto di plastica con i miei vestiti piegati con cura, nonostante fossero ancora umidi.
"Va bene, allora aspetta un momento. Ti do il mio biglietto da visita." disse lei, mentre presi il sacchetto.
Prese dalla sua borsa un biglietto da visita, e me lo allungò.
"Ecco quà."
"Grazie mille...tieni il mio e... scusa ancora per il disturbo."
"Nessun disturbo...Nanako, vero?" chiese lei, prendendo il mio biglietto da visita.
"Sì, esatto." replicai mentre mi infilavo le scarpe. Keiko mi aprì la porta.
"Allora a presto, e...grazie ancora!" dissi.
"Figurati! A presto...." disse lei e chiuse la porta.
Ricominciai a correre verso la strada di casa. Niente, non pensavo a niente. Era come avere il cervello in stand-by, eppure sapevo bene dove stavo andando. Dopo un po' di tempo mi resi conto che ero già sulla soglia di casa.
"Eccocì quà." dissi e aprii la porta. Andai subito a stendere i vestiti bagnati e misi a lavare la tuta di Keiko. Poi mi feci una doccia calda. Ci voleva, decisamente!
Quando mi asciugai, mi misi a sedere sulla mia amata poltrona. Rimasi in silenzio a meditare per un bel po', mentre fuori la pioggia riprese a cadere.
"Mah....che giornata strana!" pensai. Avevo solo fatto una corsa sotto la pioggia, in compagnia di Keiko. Che cosa c'era di strano? Che forse lei aveva reso non indifferente la mia giornata.
"Che ragazza solare..." pensai. Sorrideva sempre, ogni volta che ci incontravamo aveva il sorriso disegnato sulle labbra. E mi trasmetteva una luce nuova, un nuovo calore.
"Chissà....se diceva davvero quelle cose." dissi, rialzandomi dalla poltrona. Presi in mano il biglietto da visita di Keiko, e lo guardai a lungo. Il suo sorriso, le sue parole, e il suo viso. Avevo voglia di mandarle un messaggio, di ringraziarla....ma di cosa, a parte avermi prestato i suoi vestiti? Quel grazie che le volevo inviare, era qualcosa di più!
"Che faccio? Poi magari la disturbo..." pensai rimettendo sul tavolo il biglietto. Decisi così di rimettermi a studiare, non avevo voglia di perdere altro tempo.
"Prendiamo l'agenda, che devo sapere se il 24 c'è la professoressa Uamura....magari per quel giorno le riesco a dare..." pensai ma il mio pensiero fu interrotto da un piccolo foglio giallo appiccicato sulla pagina:
"Ventiquattro: le ore che ti penso."
"Oh no..." esclamai, alzando gli occhi al cielo. Un altro post-it! Eppure quel giorno era lunedì...e io non c'ero in facoltà.
"Me ne avrà messi altri?!" pensai, e così sbirciai con calma, pagina per pagina, l'agenda. Ce n'erano due che non avevo visto:
"Due: le parole che non ti ho detto."
"Quindici: gli anni che ci separano."
Non ne trovai altri. C'erano solo quelli, gli altri li avevo già staccati.
"Accidenti....ma chi diavolo sarà?!" esclamai, chiudendo l'agenda. Le due parole? Potevano essere "Ti amo", oppure "Ti uccido....chi lo poteva sapere? Poteva esser chiunque e aver voluto dire qualunque cosa! E poi erano quindici, gli anni che ci separavano: poteva parlare di anni intesi come distanza di tempo che non ci vedevamo, oppure intendeva dirmi l'età che aveva. In ogni caso iniziò a girarmi la testa.
"Non ne posso più! Da domani mi porterò l'agenda anche in bagno!" esclamai.
Così preparai la borsa per il giorno dopo, e decisi di mettermi a letto, non prima però di aver mandato almeno un messaggio a Keiko.
"Che le dico?" pensai, col cellulare tra le mani. Attesi qualche minuto, non avevo proprio la più pallida idea di cosa scrivere.
"No...non voglio disturbarla. Magari le scrivo domani!" pensai e appoggiai il cellulare sul comodino. Quella sera non avevo fame, così decisi di andarmene a letto e lasciarmi divorare dai strani pensieri di quella giornata insolita. Spensi la luce e provai ad addormentarmi, nel freddo e buio della mia cameretta. Ma dopo qualche istante una luce si accese di colpo, ed era il telefonino.
"Chi sarà mai?" pensai. Guardai sul display:
"Ciao! Come stai? Che ne dici se giovedì ci prendiamo un caffè in facoltà? Così mi ridai la tuta e mi parli di più del tuo romanzo...". Era Keiko.
Tu-tum! Tu-tum! Pechè il mio cuore balzò a quel messaggio? Era solo un caffè, non un appuntamento romantico!
Così le risposi:
"Ora sto meglio, va bene per giovedì. Magari ti chiamo mercoledì che ti dò la conferma. Grazie e notte..."
Non mi sentivo in pace con me stessa: non avevo risposto a dovere a quel messaggio, eppure ero così sorpresa che non sapevo che risponderle. Tenevo il cellulare stretto al petto, come se in quel momento un messaggio di Keiko fosse stata la cosa più importante.
"Ma che cosa mi sta succedendo?" pensai.
No, non lo sapevo. Forse era l'unica persona, sconosciuta, che credeva in me. Avevo paura di sbagliarmi, ma l'istinto mi diceva di fidarmi di quel sorriso.
Un altro messaggio mi arrivò pochi istanti dopo:
"Attendo notizie allora. Dolce notte. Un bacio..."
Tu-tum. Tu-tum! Un bacio...sulla guancia! Era sicuramente sulla guancia!
Spensi il telefono e cercai di dormire. Chiusi gli occhi ed emisi un lungo sospiro.
"Keiko..." pensai, sognando il suo sorriso. Unica luce di un esistenza solitaria e insicura.
Lunedì era giunto, e una nuova settimana ricominciava. Avrei risistemato il romanzo che avevo in mente, avrei studiato, e ....avrei pensato al responsabile di quei post-it! Ci pensavo spesso, era ormai diventata una mia ossessione da giorni. Chi era? Chi poteva essere!?!? Una cosa era successa però: quel lunedì incontrai nuovamente Keiko. No, non ero nella solita biblioteca: quel giorno non ne avevo voglia. Decisi di alzarmi sul tardi, mangiare un boccone a casa e andare a fare attività fisica. Così al pomeriggio sottosera uscii, nonostante il cielo fosse grigio. Mi misi a fare jogging nel parco vicino casa, e ad un tratto vidi una figura familiare che stava facendo stretching sotto un enorme albero di ciliegio. Era una ragazza dalle forme toniche e definite, con i capelli raccolti in un grande chignon e qualche ciocca che scendeva sul suo viso. Era proprio lei, Keiko. La osservai per un po': lei, mentre eseguiva gli esercizi teneva gli occhi chiusi. Pareva fosse in un altro mondo. Non volevo disturbarla, ma la tentazione di chiamarla era più forte di me:
"Keiko!" esclamai. Aprì gli occhi, e si voltò verso di me, perplessa. E così mi vide.
"Ehm...scusa ti...ho disturbata?!" chiesi. Lei mi sorrise.
"No. Tranquilla. Che cosa ci fai quì?"
"Stavo facendo jogging...." dissi io avvicinandomi.
"Vuoi fare un po' di stretching con me?" mi chiese.
"Non...non vorrei disturbarti...ti vedo molto presa dai tuoi esercizi..."
"Se ti sto chiamando per fare esercizi con me, non disturbi affatto..." esclamò lei con un grande sorriso. Quel sorriso era un grande bagliore, più di un raggio di sole. Eppure quel giorno, non c'era il sole: c'era un cielo grigio e che avrebbe promesso pioggia da un istante all'altro.
"Va bene..." risposi. E così iniziai a fare un po' di stretching al suo fianco. Una leggera brezza mi accarezzò le braccia e le gambe. Un piccolo brivido percorse la mia schiena, e dopo qualche istante sentii qualche goccia colpirmi la fronte.
"Inizia a piovere!" esclamai alzandomi in piedi di scatto.
"Già! Seguimi! E di corsa!" esclamò lei, mettendosi a correre lungo la via. La seguii di corsa, per un paio di minuti. Una corsa sotto la pioggia umida e seguendo una ragazza appena conosciuta: tutto così, improvvisato. Eppure seguii il mio istinto. Non mi frenai ai semplici impegni universitari, quel giorno mi girava così. Era da tempo che non mi sentivo smarrire, volevo perdermi in qualcosa, ma non sapevo bene di cosa si trattasse.
Arrivammo ad una palazzina ed entrammo. Percorremmo una scala e dopo qualche gradinata arrivammo alla porta d'ingresso. Iniziai ad avere i brividi: ero bagnata fradicia!
"Prego accomodati!" disse Keiko, e ci levammo le scarpe per entrare.
Quando entrai vidi un appartamento dalle pareti molto semplici e bianche, con molti ripiani pieni di libri. Aveva un bellissimo divano al centro del piccolo soggiorno, color verde acqua. A vederlo sembrava morbidissimo, ed ero tentata di sdraiarmici al volo!
"Forse è il caso che ci asciughiamo...ti mostro il bagno, così ti do anche un cambio mentre aspetti che si asciughino i vestiti.." disse Keiko, e mi accompagnò al bagno. Era molto piccolo e con fantasie sulle pareti tutte strane, dello stesso colore del divano.
"Per caso adori il verde acqua?" chiesi, mentre mi di dosso gli abiti bagnati.
"Sì, è il mio colore preferito! Amo le sfumature dell'azzurro e del verde acqua..."disse dall'altra stanza.
Mi misi un salviettone azzurro addosso, e mi asciugai. Nel frattempo Keiko bussò alla porta del bagno:
"E' permesso? Ti appoggio quì una mia tuta, almeno tieni quelli per adesso." disse entrando ed appoggiando i vestiti.
"Gr-grazie..." replicai timidamente. Ero un po' in imbarazzo, indossare una tuta di una persona che conoscevo da troppo poco tempo...era strano. Eppure la sensazione di una tuta di cotone grigia e morbida, era bellissima. Uscii dal bagno, dopo aver ripiegato accuratamente il salviettone e averlo riposto al suo posto.
Lei si era messa una maglietta a maniche corte nera e un paio di leggins viola e si stava asciugando con un altra salvietta azzurra i capelli.
"Cavoli ti sta bene....forse un po' larga! Dovresti mangiare di più o fare più esercizio fisico, così acquisisci massa muscolare!" disse col sorriso.
"Già, in effetti hai ragione...po-posso sedermi?"
"Certo, prego!" disse lei invitandomi a sedermi sul divano verde acqua. Mi guardai intorno, e mi misi seduta . Il divano era davvero morbido: sprofondavo e quasi ti invitava a sdraiarmi.
"Ti porto qualcosa di caldo?" chiese lei, mentre si fiondava in cucina.
"No, niente, grazie." risposi. Mi misi ad osservare tutti i ripiani pieni di libri e la mia curosità saliva sempre di più.
"Chissà che libri saranno." pensai e così mi rialzai e mi avvicinai ai ripiani. Ce n'erano di diversi generi, ma tutti sistemati per genere e separati da una mattonella di legno rosso: cucina, sport, medicina e fitness. Si vedeva che era un insegnante di educazione fisica!
"C'è qualche libro che ti interessa?" chiese lei, catturando la mia attenzione. Per un istante mi sentii colpevole, perchè ero andata a ficcare il naso in cose che non erano mie, e per di più a casa di una persona che conoscevo poco.
"Ehm...beh diciamo che i generi che preferisco sono altri, ma i libri di cucina non li disdegno." dissi con lieve imbarazzo.
"E che altri generi ti piacciono?" chiese.
"Romanzi d'amore, racconti fantastici....ma più che leggere io scrivo."
"Scrivi? E hai già pubblicato qualcosa?"
"Avevo vinto un premio molto tempo fa...ora sto ricontrollando un romanzo che ho scritto da poco...."
"Di cosa tratta?" chiese lei con curiosità sedendosi sul divano.
"Di.... di una storia d'amore..." risposi. Ero nervosa, non le volevo dire certi risvolti, mi vergognavo molto. Mi vergognavo del mio stesso sogno...che tristezza!
"Ti va di raccontami qualcosa? Oppure devo aspettare la sua pubblicazione?" chiese . In quel momento mi tornarono alla mente le critiche gelide della professoressa Mauura, e di colpo mi si riaprì una ferita che sembrava si fosse rimarginata. Tutta un illusione...pure il mio sogno di pubblicare un libro era un illusione! Mi salì un grande magone:
"E' inutile che aspetti....tanto non me lo pubblicheranno mai."
"Perchè dici questo?" chiese lei con espressione perplessa. Le parole della professoressa Mauura mi avevano ferita profondamente, nonostante io avessi provato a non darci più di tanto peso.
"Perchè è vero....ha una storia ma non ha il tocco magico che dovrebbe avere per esser pubblicato..." replicai, sedendomi. Una strana tristezza si stava prendendo gioco di me, e la meta sembrava così lontana.
"Se tu ci credi...è già una magia." disse lei.
"Dici?" replicai. Non ero dello stesso parere, avevo un pessimismo e un vuoto in quegli ultimi tempi che mi veniva quasi voglia di dar fuoco ad ogni mio sogno. Forse anche perchè ero sola...e nessuno credeva nella forza dei miei progetti.
"Sì. Se ci credi, te lo pubblicheranno. E' normale che non si riesca subito...."
"Ma è da tanto che ci sto sopra...possibile che ci sia davvero qualcosa di sbagliato?! Io non credo!" esclamai con nervoso. Poi però cercai di ripigliarmi, e chiesi scusa a Keiko per la mia reazione.
"Non c'è bisogno di scusarsi...hai ragione ad essere arrabbiata, ma la stessa energia che è in te la devi usare per realizzare quel sogno!" disse lei appoggiando una mano sulla mia. Quel calore, quella sensazione.....sembravano le stesse del sogno che feci quel giorno. E da cui avevo tratto la storia per il mio romanzo.
"Fo...forse hai ragione..." dissi e la guardai negli occhi. Il suo sguardo era così profondo che ci potevo nuotare. Era bellissimo, e ricordava quello di mia madre.
"Mamma...." pensai. Quanto mi mancava una sicurezza...quanto mancava mia madre! Eppure Keiko...mi ricordava mia madre.
"Oggi hai corso per arrivare ad una meta, nonostante la pioggia ti colpissa. Così è la stessa cosa per il tuo romanzo." disse lei col sorriso.
"Già..." replicai. Qualche istante di silenzio ci separono, e mi accorsi che aveva appena smesso di piovere.
"Finalmente ha smesso. Però c'è un po' freddo..." disse lei con sconforto.
"Sarà meglio se mi avvio a casa." replicai.
"Allora vado a prenderti i vestiti." disse lei e si alzò. Mi alzai anche io.
"Vado in bagno a togliermi la tua tuta allora..." dissi
" Ma i tuoi vestiti sono ancora inzuppati! Te li metto in un sacchetto, intanto ad andare a casa ti tieni la mia tuta...."
"Cosa? Ma poi quando te la restituisco!?" esclamai.
"Quando vuoi! Io ne ho diverse, non ti preoccupare...."
"No ma almeno...dammi il tuo numero che io ti do il mio.... così....so quando sei libera un attimo e ti restituisco la tuta!" replicai, mentre lei tornò da me con un sacchetto di plastica con i miei vestiti piegati con cura, nonostante fossero ancora umidi.
"Va bene, allora aspetta un momento. Ti do il mio biglietto da visita." disse lei, mentre presi il sacchetto.
Prese dalla sua borsa un biglietto da visita, e me lo allungò.
"Ecco quà."
"Grazie mille...tieni il mio e... scusa ancora per il disturbo."
"Nessun disturbo...Nanako, vero?" chiese lei, prendendo il mio biglietto da visita.
"Sì, esatto." replicai mentre mi infilavo le scarpe. Keiko mi aprì la porta.
"Allora a presto, e...grazie ancora!" dissi.
"Figurati! A presto...." disse lei e chiuse la porta.
Ricominciai a correre verso la strada di casa. Niente, non pensavo a niente. Era come avere il cervello in stand-by, eppure sapevo bene dove stavo andando. Dopo un po' di tempo mi resi conto che ero già sulla soglia di casa.
"Eccocì quà." dissi e aprii la porta. Andai subito a stendere i vestiti bagnati e misi a lavare la tuta di Keiko. Poi mi feci una doccia calda. Ci voleva, decisamente!
Quando mi asciugai, mi misi a sedere sulla mia amata poltrona. Rimasi in silenzio a meditare per un bel po', mentre fuori la pioggia riprese a cadere.
"Mah....che giornata strana!" pensai. Avevo solo fatto una corsa sotto la pioggia, in compagnia di Keiko. Che cosa c'era di strano? Che forse lei aveva reso non indifferente la mia giornata.
"Che ragazza solare..." pensai. Sorrideva sempre, ogni volta che ci incontravamo aveva il sorriso disegnato sulle labbra. E mi trasmetteva una luce nuova, un nuovo calore.
"Chissà....se diceva davvero quelle cose." dissi, rialzandomi dalla poltrona. Presi in mano il biglietto da visita di Keiko, e lo guardai a lungo. Il suo sorriso, le sue parole, e il suo viso. Avevo voglia di mandarle un messaggio, di ringraziarla....ma di cosa, a parte avermi prestato i suoi vestiti? Quel grazie che le volevo inviare, era qualcosa di più!
"Che faccio? Poi magari la disturbo..." pensai rimettendo sul tavolo il biglietto. Decisi così di rimettermi a studiare, non avevo voglia di perdere altro tempo.
"Prendiamo l'agenda, che devo sapere se il 24 c'è la professoressa Uamura....magari per quel giorno le riesco a dare..." pensai ma il mio pensiero fu interrotto da un piccolo foglio giallo appiccicato sulla pagina:
"Ventiquattro: le ore che ti penso."
"Oh no..." esclamai, alzando gli occhi al cielo. Un altro post-it! Eppure quel giorno era lunedì...e io non c'ero in facoltà.
"Me ne avrà messi altri?!" pensai, e così sbirciai con calma, pagina per pagina, l'agenda. Ce n'erano due che non avevo visto:
"Due: le parole che non ti ho detto."
"Quindici: gli anni che ci separano."
Non ne trovai altri. C'erano solo quelli, gli altri li avevo già staccati.
"Accidenti....ma chi diavolo sarà?!" esclamai, chiudendo l'agenda. Le due parole? Potevano essere "Ti amo", oppure "Ti uccido....chi lo poteva sapere? Poteva esser chiunque e aver voluto dire qualunque cosa! E poi erano quindici, gli anni che ci separavano: poteva parlare di anni intesi come distanza di tempo che non ci vedevamo, oppure intendeva dirmi l'età che aveva. In ogni caso iniziò a girarmi la testa.
"Non ne posso più! Da domani mi porterò l'agenda anche in bagno!" esclamai.
Così preparai la borsa per il giorno dopo, e decisi di mettermi a letto, non prima però di aver mandato almeno un messaggio a Keiko.
"Che le dico?" pensai, col cellulare tra le mani. Attesi qualche minuto, non avevo proprio la più pallida idea di cosa scrivere.
"No...non voglio disturbarla. Magari le scrivo domani!" pensai e appoggiai il cellulare sul comodino. Quella sera non avevo fame, così decisi di andarmene a letto e lasciarmi divorare dai strani pensieri di quella giornata insolita. Spensi la luce e provai ad addormentarmi, nel freddo e buio della mia cameretta. Ma dopo qualche istante una luce si accese di colpo, ed era il telefonino.
"Chi sarà mai?" pensai. Guardai sul display:
"Ciao! Come stai? Che ne dici se giovedì ci prendiamo un caffè in facoltà? Così mi ridai la tuta e mi parli di più del tuo romanzo...". Era Keiko.
Tu-tum! Tu-tum! Pechè il mio cuore balzò a quel messaggio? Era solo un caffè, non un appuntamento romantico!
Così le risposi:
"Ora sto meglio, va bene per giovedì. Magari ti chiamo mercoledì che ti dò la conferma. Grazie e notte..."
Non mi sentivo in pace con me stessa: non avevo risposto a dovere a quel messaggio, eppure ero così sorpresa che non sapevo che risponderle. Tenevo il cellulare stretto al petto, come se in quel momento un messaggio di Keiko fosse stata la cosa più importante.
"Ma che cosa mi sta succedendo?" pensai.
No, non lo sapevo. Forse era l'unica persona, sconosciuta, che credeva in me. Avevo paura di sbagliarmi, ma l'istinto mi diceva di fidarmi di quel sorriso.
Un altro messaggio mi arrivò pochi istanti dopo:
"Attendo notizie allora. Dolce notte. Un bacio..."
Tu-tum. Tu-tum! Un bacio...sulla guancia! Era sicuramente sulla guancia!
Spensi il telefono e cercai di dormire. Chiusi gli occhi ed emisi un lungo sospiro.
"Keiko..." pensai, sognando il suo sorriso. Unica luce di un esistenza solitaria e insicura.
giovedì 29 settembre 2011
Post-it "1"
"1"
Mi svegliai
presto quella mattina. Volevo essere diversa dal solito trucco acqua
e sapone, e mettermi qualcosa di più elegante rispetto al jeans e
maglietta.
Così mi tinsi le
labbra di rosso scarlatto, come le rose della mia vicina di casa, e
sulle palpebre disegnai un lungo tratto nero con l'eyeliner, per
allungare lo sguardo. Sembravo un altra persona: quella mattina così,
all'improvviso, mi sentivo più donna delle altre volte. Certi giorni
volevo essere più ragazzina, ma quel giorno provai ad essere più
donna e mostrare più maturità. Anche perchè sarei andata ad un
incontro abbastanza formale: quello con la professoressa Mauura
Fujiko.
Lei era una donna
straordinaria: insegnava l'inglese come se fosse stata una
madrelingua, organizzava progetti di volontariato, scriveva... il
modello di donna in carriera, perfetta. Inoltre era di una bellezza
al di fuori del comune! Appunto per la passione che avevamo in comune
per la letteratura e la scrittura, provai a proporle un mio libro per
vedere se la casa editrice per cui lavorava sarebbe stata interessata
alla mia opera. Scriveva vari generi, ma spesso e volentieri erano
storie d'amore.
"Bene, ora
sono pronta!" dissi rivolgendo un ultimo sguardo allo specchio.
Uscii di casa e camminai con molta calma per le vie del quartiere,
per raggiungere l'università. Il sole era tiepido, e sentivo che mi
avrebbe atteso una giornata sicuramente intensa e produttiva. Lo
studio non sarebbe mancato e per di più avrei atteso l'esito della
bozza del mio libro che avevo proposto alla signora Mauura Fujiko.
Giungendo nel
cortile universitario sentii una voce squillante che mi chiamava.
Era Sakura:
"Hey! Dove
pensavi di andare? Non ti fermi nemmeno per salutarmi?!"esclamò
Sakura sorridendo dolcemente. Erano settimane che non ci sentivamo
più, e nemmeno uscivo con lei, il suo ragazzo e il gruppo di amici.
Ero felice per lei, ma in quegli ultimi tempi era diventata più
sciocca e bambina del solito. Forse erano Rihito e il suo gruppo di
amici ad averla influenzata: in fondo nemmeno loro mi erano mai
piaciuti.
"A dire il
vero è da tempo che non ci sentiamo...."
"Potresti
infatti farti sentire un po' più spesso..."
"Anche tu!"
esclamai scocciata. Si stava comportando come se lei per principio
avesse avuto ragione. Ma non era così: prima o poi doveva ammettere
parte delle sue colpe, come d'altronde facevo sempre io!
"Senti io
vorrei invitarti al mio compleanno..."
"Interessante..."
"In che
senso?! Da come me lo dici sembra quasi che non te ne importi nulla!"
esclamò Sakura guardandomi con perplessità. E io impassibile
risposi:
"In questo
momento ho ben altre cose a cui pensare..."
Il suo volto
cambiò velocemente espressione, e per cercare di coprire le lacrime
che stavano per traboccare dagli occhi se ne andò, lasciandomi sola
in mezzo alla folla di studenti intenti a entrare in facoltà.
Anche io entrai a
lezione, in fondo cos'altro potevo fare? Avevo ragione: lei mi aveva
trascurata, era cambiata e pure io l'avevo abbandonata al suo destino
che ormai s'era colorato di rosa. Io non avevo le sue stesse
sfumature. Non le volevo.
Arrivai a lezione
di informatica: i computer occupavano grande parte dell'aula e un
sostituto del professore della materia iniziò con la lezione. Mi
sedetti in seconda fila, centrale. Ma non avevo tanta voglia di
ascoltare. Cercai di seguire l'inizio, poi il mio cervello si
scollegò direttamente dalla realtà.
"Perchè non
c'è niente che mi soddisfi veramente? Che mi faccia ancora vivere
l'ebrezza del piacere di una giovane?" pensai. Il mio sguardo
era fisso sul monitor . Tanti programmi, tanti click col mouse.
Nessuna ribellione da parte del computer, nessuno stimolo se non
obbedire ai miei comandi.
"Sì...in
questo momento sono proprio una macchina...senza sentimento."
pensai. Dopo un ora intensa di lezione senza pausa decisi di lasciare
l'aula e dirigermi in biblioteca.
Studiare,
studiare e ancora studiare. Non facevo altro a parte suonare, il
volontariato che ormai stavo dimenticando sempre più. Ero chiusa in
casa, uscivo per conto mio pochissime volte, da sola. Mio padre mi
chiamava una volta al mese, giusto per far credere che lui era ancora
mio padre.
Poi? Studio,
studio e ancora studio. Così studiai, fino a quando non si fece
quasi sera. Arrivò un messaggio sul cellulare:
"Dove posso
trovarti per allungarti la bozza?"lessi. Era la professoressa
Fujiko, e così le risposi, attendendo dentro la biblioteca, che
ormai stava per chiudere.
La signora Mauura
arrivò giusto un quarto d'ora prima che chiudesse la biblioteca.
Arrivò con passo deciso, senza sorridere, impassibile come sempre. E
io l'ammiravo in tutta la sua eleganza e compostezza.
"Buona sera
professoressa Mauura!" dissi e lei ricambiò il mio saluto.
Ci sedemmo
entrambe e lei mi mostrò la bozza del mio libro corretta.
"E' un vero
disastro signorina! Devi ricontrollarlo ancora!"
"Che cosa?!
Ma cosa c'è che non va?!" esclamai. Era l'ennesima volta che
me lo correggeva.
"Rileggilo
ancora. E quando senti che sarà pronta, mi farai sapere!" disse
lei e nel frattempo si rialzò.
"Ma..aspetti!
Cosa ho sbagliato? Non ha segnato alcun errore..."
"Il
contenuto, la storia di queste due ragazze innamorate....non ha
senso....devi trovare il vero motivo per cui le lega....il perchè
potrebbero coronare questo sogno d'amore. Ti saluto. Pensaci bene..."
disse lei.
Rimasi perplessa
da quella sua affermazione: forse non avevo espresso bene il
sentimento delle protagoniste? O forse era un tema che non piaceva
alla professoressa? Una miriade di domande mi vagò in mente
facendomi venire un lieve mal di testa.
Non accettai
quella semplice correzione, così inseguii la professoressa, che
ormai stava uscendo dalla facoltà.
"Professoressa
Mauura! Si fermi!" esclamai correndole dietro. Lei si fermò e
si voltò con aria perplessa.
"Che cosa
vuoi ancora? Non vedi che me ne sto andando?!"
"Sì,
ma....che cosa intende lei per trovare il vero motivo? Io il motivo
ce l'ho...è l'amore che le lega in questa storia!" esclamai col
fiatone.
"Ma non ci
siamo ancora! Manca qualcosa: un intrigo, un mistero...qualcosa....un
incontro casuale c'è, è vero, dettato da un sogno...ma non basta!
Così non entusiasmerebbe nemmeno una copisteria di seconda
qualità..." disse lei. In quel momento mi sentii crollare il
mondo addosso. Aveva distrutto il mio sogno. Non riuscii a
controbattere.
"Arrivederci."
disse lei uscendo dalla facoltà.
Rimasi incantata
per qualche istante ad ammirare quella figura così elegante, da cui
erano fuoriuscite parole di ghiaccio.
"Al
diavolo!" pensai, cacciando in borsa con rabbia il manoscritto.
Corsi in bagno,
con l'amaro in bocca che ormai mi faceva fuori uscire le lacrime. Non
ce la facevo più: non sapevo più se stavo facendo le scelte giuste
o sbagliate, facevo tante cose ma quando si trattava di impegnarsi
nelle mie opere fallivo miseramente. Maledii quel giorno che avevo
riscoperto la mia passione per scrivere. Ebbene sì: ero piccola
quando componevo poesie, e sognavo fiabe da raccontare al mondo, a
mio padre. Peccato che mio padre non mi ascoltasse, preso da impegni
ben più importanti di una bambina che vagava nel sentiero della
fantasia. Così pensai che nemmeno il mondo fosse interessato alle
mie storie, e chiusi quella passione così importante nello scrigno
del mio cuore, gettando via la chiave. Dopo anni di adolescenza,
vissute tanto per sopravvivere, un giorno sentii una voce che mi
chiamava dentro di me. Una voce che dava colori, immagini e
movimenti, nel silenzio che mi avvolgeva come una coperta.
Ricordai bene
quel giorno, perchè ero davanti alla tomba di mia madre: il cielo
era azzurro, limpido e l'aria era fresca. Il vento mi accarezzò,
scostando delicatamente i miei capelli e , come per magia, sentii
sussurrare qualcosa. Mi voltai, ma non c'era nessuno.
"La
mamma...." pensai. Forse era lei, o forse no, ma quel momento mi
spinse per correre a casa e scrivere una piccola storia nel giro di
un pomeriggio. Proprio quella storia mi fece vincere un piccolo
concorso per racconti a scuola. E fu una delle mie più grandi
soddisfazioni, che mi fece ritrovare la chiave per riaprire il
cassetto tanto nascosto per troppo tempo.
Però col mio
romanzo che avevo continuamente proposto alla signora Mauura non
avevo speranze: potevo richiudere il mio sogno nel cassetto e
bruciarlo!
"Hey...va
tutto bene?" chiese una voce dietro di me. Forse qualcuna era
chiusa nei bagni e aveva sentito i miei singhiozzi?
Vidi allo
specchio l'insegnante di ginnastica che mi aveva aiutato quella
stessa mattina, che mi sorrideva.
Mi asciugai in
fretta le lacrime e mi voltai verso di lei.
"Sì...sì
va tutto bene!" esclamai con un sorriso forzato. Ma lei si
avvicinò e mi guardò intensamente negli occhi.
"Non, è
vero...non va tutto bene..." disse lei. Il suo sguardo era
insenso e deciso, intento a studiarmi e scavare la verità nei miei
occhi. Mi incantai per qualche istante nei suoi occhi neri e lucenti.
"Oggi...non
è giornata. E' la giornata delle cadute, e....diciamo mi sono fatta
male!" esclamai ironicamente. Lei sorrise e tirò fuori un
fazzoletto. In un istante riuscì a catturare una lacrima che mi
stava colando sulla guancia. Il suo tocco era caldo e delicato.
"Quando si
cade, ci si fa male...ma poi ci si rialza, ricordando quanto sia
stata brutta la caduta in passato." disse lei accarezzandomi la
guancia e continuando a contemplare il mio sguardo mentre io ero
perso nel suo.
Poi mi allontanai
cercando di ricompormi.
"C-certo!
Grazie...ora mi scusi ma devo scappare a casa..."
"Vuoi che ti
accompagni? Tra lo svenimento di prima e ora che stai piangendo avrai
bisogno di compagnia....magari posso accompagnarti non fino a casa ma
per un buon tratto, così potresti essere più tranquilla..."
disse lei. In quel momento non sapevo cosa fare: dirle di no sarei
risultata sgarbata. Così annuii accettando l'invito.
Uscimmo dalla
biblioteca ed entrambe prendemmo la bici, mentre il sole che
tramontava dava allo scenario intorno a noi una sensazione di
tranquillità. Ad un tratto, prima di montare sul sellino della
bicicletta mi allungò la mano:
"Keiko,
molto piacere." disse lei col sorriso. Non mi aspettai una sua
presentazione, con così tanta spontaneità.
"Nanako.
Pia...piacere mio!" ricambiai con timidezza. Salimmo ognuna
sulla propria bicicletta e partimmo alla volta di casa mia.
"Quindi sei
una studentessa della facoltà...non frequenti le lezioni?"chiese
lei.
"Ultimamente
qualche lezione la salto....a volte ne faccio a meno."
"Come mai?"
"Preferisco
studiare sui libri che ascoltare, ultimamente."
"Capisco...."disse
lei. Qualche istante di silenzio ci separò. Ma poi mi salì
stranamente a galla la curiosità.
"E tu? Come
mai sei spesso in biblioteca?"
"Beh di
solito sono in biblioteca al lunedì, poi spesso ho delle lezioni di
educazione fisica alle scuole elementari...."
"Ah, quindi
sei una maestra! Che bello!"
"Sì, però
sto cercando di fare anche una specialistica giusto per poter
insegnare anche nei licei...."
"E come è
insegnare ai bambini?"
"E'
bellissimo. Sono l'espressione più pura del movimento, quella più
spontanea....mi diverto molto." disse lei con un grande sorriso.
"Ah..."
pensai, colpita non tanto dal suo entusiasmo, ma da quel sorriso così
raggiante. Brillava così tanto che copriva la vista del sole che
tramontava.
Finalmente
giungemmo a casa mia, e così ci salutammo:
"Mi
raccomando, abbi cura di te." disse lei sempre col sorriso e una
grande dolcezza. Mi sentivo sciogliere da quelle parole che nessuno
prima di allora mi aveva mai detto.
"Ce-certo....anche
tu Keiko..."dissi. Poi si voltò per andarsene, ma qualcosa mi
diceva di fermarla:
"He-hey
aspetta!" esclamai. Keiko si fermò di colpo e si voltò con
aria sorpresa.
"Dimmi..."
disse. Non riuscivo a emettere alcuna parola. Mi sentivo soffocare da
una strana palpitazione.
"Ehm...spero...spero
di rivederti presto in facoltà!" esclamai col sorriso. Il mio
respiro si faceva sempre più affannoso. Lei nel frattempo mi
sorrise.
"Senz'altro!
Ciao..." disse lei e quel saluto pareva, mentre si voltava per
andarsene, come se fosse sussurrato dal vento.
"Ma....che
cosa diavolo..." pensai, riponendo la bici.
Ero ancora
stordita: non capivo cosa mi stesse succedendo. Quel semplice "abbi
cura di te" era stato capace di sconquassare il mio animo. Una
coccola, una piccola attenzione, detta col sorriso. Sembrava niente,
una frase qualunque. Eppure mi aveva fatto riscoprire di avere un
cuore.
"Mi ha detto
solo di avere cura di me...." pensai mentre preparavo la cena.
"Eppure...mi
sento meglio..." conclusi, e stranamente un lieve sorriso si
disegnò sul mio volto. No, non era un giorno qualunque. Qualcuno con
poco aveva cambiato la mia vita. Ed era Keiko.
"Keiko..."
pensai. Uno strano sussulto al cuore mi fece precipitare in pensieri
celesti come era di solito il cielo che intravedevo in quelle
giornate piene di pensieri.
Mentre cenai
pensavo a lei: il suo sorriso, i suoi occhi lucenti. La sua tenerezza
e preoccupazione verso una ragazza qualunque. Non era da tutti.
Stranamente però pensare a lei mi fece tornare la voglia di
rimettermi in gioco con il mio manoscritto da rivedere per l'ennesima
volta.
Tirai fuori il
libro un po' stropicciato e lo guardai.
"Forse è
una storia che non piacerà mai....eppure....quella storia la sento
come mia.... maledetto sogno, di quella notte di un anno fa!"
pensai. Ebbene sì, precisamente un anno prima feci uno strano
sogno. Ero vestita di bianco, in una stanza piena di petali di rose
sparse per terra. E ad un tratto mi sento cingere con decisione le
spalle da due mani, ma la presa era delicata e le mani sono quelle di
una donna. Mi voltavo, e due labbra piombarono sulle mie strappandomi
un lunghissimo ed intenso bacio. Un bacio di una donna, così intenso
che pareva reale, da lasciarmi al risveglio un retrogusto di fragola.
"Che
storia....forse per la signora Mauura non ha senso, eppure....dovevo
scriverlo...il mio sogno ha senso!" pensai. Decisi però che,
prima di rivedere la bozza, era meglio se avessi preso la mia agenda
e avessi organizzato la settimana che mi attendeva.
"Bene,
bene....cosa c'è da fare la prossima settimana?" pensai e
proprio in una pagina della settimana, il primo di giugno, trovai un
post-it:
"Uno: come
te non c'è nessuna..."
"Ma che...."
esclamai, tirando via il post it. Lo cestinai, come avevo fatto con
gli altri e continuando a pensare che si trattasse di uno scherzo di
qualcuno che passava per caso, in mia assenza, vicino alle mie cose.
Magari ero in bagno, e quella persona si stava prendendo gioco di me,
riempiendo ogni lunedì i miei libri con dei post-it.
"Aspetta un
momento..." pensai. La mia mente s'illuminò all'istante.
"Oggi è
lunedì.....e i post-it....li trovo sempre sui miei libri di lunedì!"
pensai. I pensieri si fecero sempre più fitti e i sospetti sempre
più grandi. Lasciavo sempre le mie cose in biblioteca sui banchi,
perchè mi fidavo dei custodi, ma a quel punto non mi potevo nemmeno
più fidare di loro. Erano forse i custodi a farmi questi scherzi? O
forse qualche studente che rimaneva il lunedì a studiare? Le pensai
tutte quella notte, giradomi e rigirandomi nel letto.
"Non si può
continuare così....devo indagare! E poi il gioco è bello quando è
corto..." pensai infine, cercando di prendere sonno.
mercoledì 28 settembre 2011
Post-it "20"
"20"
Dopo una
settimana diedi l'esame di psicologia applicata. Il massimo dei voti
ovviamente, come sempre! Non c'era nemmeno più il brivido di dare
gli esami: sapevo già l'esito, come sarebbe andata a finire. Era
tutto così prevedibile. Avrei gradito qualche sorpresa, qualche
imprevisto, un voto basso. Invece tutto era perfettamente calcolato e
con ottimi voti. I professori della mia facoltà erano entusiasti, e
vedevano in me un grande esempio di studentessa universitaria. C'era
soprattutto un professore che mi lodava per le mie doti e qualità
universitarie: il govane professor Hiroshi.
"Buongiorno
professor Hiroshi!" esclamai, arrivando alla macchinetta del
caffè. Quando lui alzò lo sguardo verso di me fece un grande
sorriso.
"Signorina
Miyazaki, buon giorno a te! Gradisci un caffè?" chiese lui.
"Sì,
grazie, ma ci penso io." dissi, prendendo il mo portamonete.
Purtroppo non feci in tempo a tirare fuori gli spiccioli che lui
aveva già inserito e selezionato la bevanda.
"Ma
professore, ci avrei pensato io..."
"Non si
preoccupi! Anzi, prima o poi te lo avrei offerto più che
volentieri!" disse lui.
"La
ringrazio lei è troppo gentile...anche oggi è impegnato tutto il
giorno?"
"Sì,
purtroppo sono impegnato tutto il giorno. Ahimè, c'è così tanto da
fare, e così poco tempo...."
"Eh
già...come la capisco!" dissi. Era sempre volenteroso ad
aiutarmi e pieno d'entusiasmo. Era un genio: nonostante avesse ben
una laurea e una specializzazione in psicoterapia musicale, quindi
tanto lavoro da fare, era impegnato in ricerca universitaria e
suonava a grandi concerti di musica classica . Suonava il pianoforte:
era il suo più grande amore, e diceva che ogni volta si perdeva a
suonare per ore e ore appena aveva un po' di tempo per sè . Anche
nella nostra facoltà c'era un meraviglioso pianoforte e qualche
strumento musicale, utilizzati soprattutto da lui per spiegare le
tecniche di musicoterapia . Non mi era mai capitato di sentirlo, ma
ogni volta che mi raccontava dei suoi concerti era come vederlo
suonare dal vivo!
"Scappo a
studiare, a presto e buona giornata! La ringrazio ancora per il
caffè!" dissi e lui ricambiò il saluto. Corsi in biblioteca a
studiare per l'esame che avrei dovuto dare quattro giorni dopo. Ogni
lunedì ero in biblioteca: adoravo quel posto! Era il mio paradiso,
la mia culla, il paese delle meraviglie. Avrei tanto voluto vivere
per sempre lì dentro, ma ahimè mancavano il letto e i viveri. Ad un
certo punto si doveva essere realisti, e tornare con i piedi per
terra!
Mi misi al solito
posto e alla stessa ora con la pila di libri che non vedevano l'ora
di essere sfogliati dalle mie esili mani. Nel frattempo misi un
post-it appiccicandolo sul tavolo, scrivendo sopra che dovevo
ricordarmi di andare in aula informatica per chiedere delle
informazioni riguardo un programma.
"Bene!
Iniziamo!" pensai e con decisione aprii il primo libro che mi
capitò tra le mani. Psicoanalisi: non era delle materie più facili,
ma sicuramente bastava qualche schema e qualche istante in più di
lettura e lo avrei imparato. La mia più grande capacità era la
memoria: ricordare quante pagine aveva un libro, di cosa trattava in
una certa pagina. Mancavano solo le virgole e potevo dettare io
stessa un libro! Dopo un ora concentrata sempre sulle stesse venti
pagine decisi di prendermi una pausa caffè. Così misi il segno alla
pagina venti, presi il mio borsellino con portafogli e telefono e mi
avviai verso la macchinetta appena fuori dalla biblioteca.
"Uff...che
stanchezza. E oggi ho solo da studiare!" pensai, guardandomi
attorno mentre attendevo il caffè. Amici e amiche che
interloquiavano, poi due coppie che si tenevano per mano ridendo e
scherzando.
"Che
invidia." pensai. Le mie amiche ormai si erano fidanzate tutte,
e dato che ero presa dallo studio avevano perso le speranze di farmi
uscire.
"Che
schifo!" pensai, deglutendo un goccio di caffè amaro. Ero
talmente presa dalla rabbia verso il mondo che mi circondava che mi
ero persino dimenticata di mettere lo zucchero!
Decisi di berlo
comunque bollente e senza zucchero: la vita era già abbastanza amara
di suo, d'altronde! Cos'era un caffè amaro in confronto?
Tornai dentro la
biblioteca: ancora un grande silenzio mi circondava, mentre non c'era
nessuno a parte i due bibliotecari.
Riaprii il libro
al segno che avevo lasciato, alla pagina venti:
"Venti, i
passi che ci separano. Sei ancora così lontana..." lessi su
un post-it appiccicato al centro della pagina.
"Ma cosa..."
pensai, prendendo il post it e rileggendolo nuovamente. Ancora una
volta, c'era un post-it appiccicato su uno dei miei libri.
"Ancora! Un
altra volta...ma chi può essere?" pensai, ma poi scocciata e
non dandoci troppo peso presi il post it e lo buttai nel cestino.
Continuai a
studiare per tutto il pomeriggio e non avevo minimamente toccato
cibo. In effetti ne risentii dato che mi venne un forte mal di testa
all'improvviso, proprio mentre scendevo le scale con l'intento di
tornare a casa. Rischiai di cadere come un pero ma per fortuna
qualcuno mi aveva presa al volo. La sua presa era forte e decisa, mi
sentii per un istante come al sicuro. E stranamente era la presa di
una ragazza, una giovane insegnante che ogni tanto si fermava in
biblioteca per leggere qualche libro sullo sport.
"Gr-grazie!Ch-chiedo
scusa!" Esclamai alzandomi con imbarazzo.
"Non ti
alzare di scatto! Sennò rischi di perdere i sensi! Non hai mangiato,
vero?" chiese lei, accarezzandomi la fronte. Io timidimante
annuii.
"Ti aiuto a
rialzarti..."disse lei, e pian piano mi rialzò. Mi sentii un
po' stordita, ma almeno avevo ripreso i sensi e stavo meglio. Mentre
mi rialzava sentii il suo profumo: era così intenso e dolce, come le
rose. Mi allungò una bottiglietta d'acqua ma la rifiutai.
"No
grazie... non ce n'è bisogno....davvero!" esclamai,
indietreggiando.
"Sei
sicura?" chiese lei guardandomi col sorriso. Quel sorriso così
luminoso risaltava gli zigomi e i lineamenti del suo viso giovane e
maturo. I capelli erano tagliati a caschetto, un po' spettinati, e
davano al suo collo un tocco tonico e seducente.
"Ehm...sì!
Sì! Buona giornata!" esclamai salutando la ragazza e mi
dileguai , pensando alla grande figuraccia che avevo fatto, dato che
in molti erano rimasti ad osservare anche solo per qualche istante la
scena.
"Accidenti
che figura!! Però..." pensai, rivedendo nella mia mente la mia
caduta. Non ci avevo fatto caso subito, ma nonostante lei fosse
magra aveva molta forza e una buona muscolatura . La cosa che mi
colpì inoltre era lo sguardo: era bellissimo. Non l'avevo mai notato
da così vicino dato che era sempre seduta lontano da me, lontana da
sguardi indiscreti. E poi aveva un sorriso splendido, con un paio di
labbra rosa chiaro, lucide.
"Oh, ma che
sto pensando!!" pensai scuotendo la testa e aprendo la porta di
casa. Entrai finalmente nel mio piccolo mondo dove nessuno aveva mai
avuto accesso fino ad allora.
"Casa...dolce
casa...." pensai, gettando la borsa con i libri sulla poltrona.
Mi fiondai in cucina e preparai un insalata e una frittata.
Avevo una gran
fame, che decisi persino di concedermi un po' di gelato al cioccolato
che mi ero tanto promessa di non mangiare più.
"Buon
appetito!" esclamai da sola. Ma ad un tratto qualcuno suonò
alla porta. Accidenti, pensai!
"Chi è?"
chiesi.
"Sono Yu."
"Ah, ciao
Yu!" esclamai sistemandomi un attimo i capelli allo specchio.
Era un ragazzo dai capelli biondo ossigenato che abitava proprio di
fianco a me. Anche lui era uno studente universitario, ma in più
lavorava alla sera e , appena aveva un po' di tempo libero mi veniva
a trovare. Avevo bisogno di soldi e vendevo libri di esami che avevo
già passato. Aprii la porta e lo feci accomodare.
"Sono un po'
di fretta, e ti volevo chiedere riguardo i libri.... Ci sono tutti?"
"Si! Ecco
quà!" dissi e gli allungai il mucchio di libri.
"Grazie
mille! Non so come farei senza di te....piccolo genietto!" disse
lui.
"Già....sei
sempre il solito! Quando hai intenzione di laurearti seriamente?"
"Quando avrò
la testa a posto!"
"Ah già...è
vero che tu non sei tanto a posto..." dissi io ridendo.
"Bene,
scappo al lavoro! Ci sentiamo!"
"Mi
raccomando! I bocconcini alla nutella!" esclamai mentre si
incamminò
"Tranquilla!
Te ne porto un sacco intero!" esclmaò lui col sorriso. Chiusi
la porta e mi sentii per un po' sollevata. Dopo una giornata strana,
il post-it e il giramento di testa, potevo pensare di rilassarmi tra
le grandi e morbide braccia della mia poltrona.
"Ah...ora sì
che sto bene..." pensai. Infine mi addormentai e sognai ancora
una volta il post-it.
"Venti, i
passi che ci separano. Sei ancora così lontana...". Quella
frase suonava nella mia mente come un eco in lontananza. Perchè
continuava ad assillarmi così tanto?
martedì 27 settembre 2011
Post-it "100"
"100"
"Uff..."sbuffai.
Era
una bellissima giornata di sole e il suo calore mi scaldava le
braccia mentre tenevo chiusi gli occhi, rivolgendo il volto verso il
cielo.
Stavo
sdraiata sul verde prato dell'università dove studiavo, durante la
pausa delle lezioni. Era un giorno come gli altri, dove le uniche mie
fedeli compagne erano i miei pensieri.
Pensieri
di solitudine, di angoscia, e domande su domande si sovrapponevano
costruendo un immenso castello illusorio.
"Perchè?"
pensai. Poi aprii gli occhi, e cercai di immergermi nell'azzurro del
cielo. Era un colore così limpido e intenso che veniva voglia di
volare. Eppure mi sentivo così terribilmente pesante, per colpa dei
miei pensieri.
"Perchè...sono
così....vuota? Eppure...mi sento così...pensante!" conclusi,
sbuffando nuovamente.
Il
silenzio mi circondava, come se improvvisamente fosse finito il
mondo. Nessuno passava, le voci erano assenti. Qualche uccellino
cinguettava, forse. Ma ero così immersa nel cielo azzurro che
preferivo ascoltare la dolce ma malinconica melodia del silenzio.
Di
colpo udii la massa di ragazzi e ragazze, camminare rumorosi e
chiacchierando, avvicinarsi.
Il
tormento dei miei pensieri cessò all'istante, per farmi precipitare
nella mia realtà di ambizione e perfezione che era l'università.
Mi
rialzai e controllai l'orologio. Erano le due e passate del
pomeriggio, ormai era giunto il momento di dirigersi in biblioteca e
studiare; così presi la tracolla con tutti i libri e i miei
manoscritti.
Non
ero riuscita a scrivere nulla quel giorno, e mi sentivo abbattuta,
vuota, priva d'ispirazione. Però il dovere mi chiamava, e dovevo
studiare, fare tante altre cose.
Per di
più attendevo il responso da parte di un insegnante della mia
università riguardo un manoscritto che le avevo allungato: speravo
che lo riuscisse a proporre ad una casa editrice, dato che lei ci
lavorava. Peccato che ormai era un mese che lo leggeva e....me lo
rimandava indientro! Il tutto perchè mancava qualcosa. Avevo ormai
perso il conto di tutte le volte che ci eravamo incontrate per
rivedere e commentare il manoscritto. Stavo per perderci le speranze,
nonostante scrivere fosse una delle mie poche passioni che mi
toglievano dalla mia solita vita. Forse era quello il motivo per cui
sentivo iun grande vuoto dentro di me? No, non era solo quello.
Cercavo di darmi sempre delle risposte razionali, non troppo
sentimentali. Così pensai che, per colpa della mia ambizione, il
vuoto dentro me fosse nato perchè avevo perso molti amici. O forse
erano loro che non avevano mai accettato il fatto che fossi migliore
di loro?
Una
ragazza determinata, studiosa e indaffarata non poteva sempre
attendere gli altri. Tanto valeva salutarli, lasciando che loro ti
mandassero a quel paese e ti dessero della asociale.
"Mah...che
invidiosi!" pensai allora.
Arrivai
in biblioteca e iniziai a tirare fuori l'agenda, su cui erano segnati
vari impegni: università, pianoforte, incontro con la professoressa
per il manoscritto, doposcuola. Quelli erano ormai divenuti il mio
mondo.
"Quante
cose da fare..." pensai. Una persona qualunque sarebbe stata
etusiasta di avere così tante faccende da sbrigare, nella speranza
che tutto ciò avesse reso qualcosa in futuro.
Io non
lo ero. Ero così a terra che avrei preferito cancellare qualsiasi
impegno pur di rimettermi sdraiata su quel prato verde
dell'università, cercando di pormi talmente tante domande da
schiacciare il mio cuore come una noce.
Si
fecero le sei e pensai di lasciare l'università per dirigermi a
casa. Attraversai i corridoi vedevo sfrecciare veloci gli studenti e
i professori intorno a me, mentre passeggiavo con calma, con la
pesantezza della giornata e del sapere ormai inglobato che si faceva
sentire. All'improvviso mi sentii chiamare:
"Nanako!
Aspettami!". La sua voce affannosa e squillante la riconobbi tra
mille.
Era Sakura, molto
probabilmete aveva appena finito la lezione di psicologia generale.
Le avevo detto che l'avrei accompagnata a lezione, ma alla fine
preferii fare altro.
Non vedevo l'ora
di essere a casa.
"Sakura....
Cosa c'è?" chiesi. Aveva un gran fiatone per la corsa che aveva
fatto per raggiungermi.
"Non ti ho
vista a lezione!" esclamò lei .
"Non mi hai
vista? Ero in fondo...." dissi, mentendole spudoratamente.
"Sì, come
anche l'altro giorno, che in realtà ti sei addormentata sul giardino
dell'università?!"esclamò acida, scoprendo la verità.
Nonostante tutto non provai vergogna per averle mentito.
"Va bene! Va
bene....lo ammetto, oggi volevo starmene per conto mio. Scusami..."
replicai, un po' scocciata.
"Comunque
volevo riferirti una bellissima novità!"
"E sarebbe?"
chiesi. Lei fece un grande sorriso.
"Io e
Rihito....ci siamo messi insieme! Finalmente si è dichiarato e
così...ci siamo baciati. E' successo tutto così in fretta! Scusa ma
ora scappo, che lui mi sta aspettando all'uscita! Ci sentiamo così
ti racconto meglio!" esclamò lei e si dileguò velocemente,
mimetizzandosi nella folla di studenti che uscivano.
Io invece rimasi
lì, ferma e immobile, pensando alla sua felicità e alla mia
solitudine e monotonia.
"Io? Perchè
non ho novità?"pensai, guardando verso il vuoto. La gente
continuava a passarmi di fianco, come se fossi un semplice fantasma.
"Mah..."
pensai e ripresi il mio cammino verso casa. Montai sulla mia
bicicletta e in pochi minuti mi ritrovai nel mio piccolo
appartamento, l'essenziale per vivere da sola.
"Casa dolce
casa..." pensai, chiudendo la porta dietro di me. Quella sera
l'avrei trascorsa in casa. Forse sarei dovuta uscire con Sakura, ma
lei ormai viveva nel suo mondo rosa e fiori. Sola, sola e ancora più
sola. Preferivo rimanere da sola, piuttosto che sentire cinguettare
Sakura nel suo idillio d'amore. Chiudermi nel mio mondo, studiare,
dedicarmi alla musica e ai miei libri era la cosa migliore.
Mi tolsi le
scarpe e camminai con le pantofole a forma di gatto nero con gli
occhi gialli. Era ormai ora di cena, ma quella sera non avevo fame.
Al massimo avrei sgranocchiato qualche patatina sfiziosa a forma di
orsacchiotto accompagnata da una coca cola.
"Casa...dolce
casa..." pensai, mentre presi uno dei miei libri scritti a mano
e mi misi a sedere sulla poltrona, al centro del minuscolo soggiorno.
Iniziai a leggere, nel silenzio. Ma poi di colpo caddero due lacrime
dal mio viso, e chiusi il libro per non bagnarlo.
Quelle lacrime
disegnavano ogni giorno il mio grande vuoto. Facevo ogni cosa,
vivendo le mie passioni, ma non mi sentivo in pace con me stessa.
Non potevo
parlarne con nessuno....non volevo. Chiudevo il mio vero essere
fragile, quel vuoto così potente , per paura di essere scoperta e
giudicata come una ragazza qualunque.
Diedi un forte
pugno alla poltrona. Ormai essa era divenuta una grande compagna di
sfogo: parlavo con lei, mi sfogavo con lei. E lei taceva, e
pazientemente ascoltava, circondandomi e coccolandomi con le sue
grandi braccia di pelle rossa.
Improvvisamente
il cellulare suonò.
"Chi sarà?"
pensai, asciugandomi le lacrime. Guardai sul display, ed era mio
padre che mi chiamava. Risposi alla telefonata, ovviamente sapevo che
sarebbe stato rapido e coinciso come sempre.
Mi chiese come
stavo, se studiavo e se fra poco ci sarebbe stato qualche esame.
Risposi con qualche vago monosillabo, e lui non cercò minimamente di
farmi uscire dalla bocca altre parole. Da quando era morta mia madre
si era spento, a tal punto da mostrarsi quasi formale con me, come se
fossi stato una sua dipendente di lavoro o una persona qualunque.
"Bene ci
sentiamo presto allora. Ciao." disse e riagganciai.
Quelli erano i
momenti più inutili della mia vita: perchè chiamare se poi nemmeno
avevamo più una relazione o un legame così importante, come doveva
avere un padre e una figlia? Per fortuna che avevo le mie passioni
oltre allo studio, ma erano un segreto. Non volevo dirglielo perchè
temevo il suo giudizio, ma al tempo stesso ero così fiera di ciò
che stavo facendo che lo avrei supplicato pur di venirmi a trovare un
giorno a suonare o aiutare i bambini a fare i compiti. Sembrava così
semplice. Eppure in realtà era così complicato!
"Basta
adesso piangere! Studiamo un po', almeno mi rendo utile per
qualcosa..." pensai, e così presi la borsa e tirai fuori il
libro di psicologia applicata. Lo aprii precisamente alla pagina
cento, che avevo segnato su un post it in agenda come promemoria. Ad
un tratto però, quando aprii il libro vidi qualcosa che occupava la
parte centrale della pagina cento:
"Cento: i
battiti del mio cuore, vedendo te." lessi su un post it,
attaccato alla pagina cento.
"Eh?"
pensai, leggendo e rileggendo quel post-it. Come poteva esserci un
post it del genere sul mio libro? E perchè sul mio libro?
"Oh... al
diavolo! Sarà stato lo scherzo di qualche idiota..." pensai,
stringendo il post it nella man per ridurlo ad una piccola pallina di
carta fluorescente.
Gettai il
foglietto nel cestino e ripresi a studiare dalla pagina cento. Lessi
e rilessi la pagina più e più volte, perchè non ero per niente
concentrata. Dopo un quarto d'ora compresi che i miei pensieri erano
ancora smarriti su quel pezzetto di carta gettato nel cestino.
"Accidenti!
Perchè devo perdermi in certe cose?! Presto avrò un esame e non
posso perdere la concentrazione...." pensai sospirando e
rivolgendo lo sguardo verso il soffitto.
A quel punto
conclusi che non era più possibile studiare perdendosi in certi
pensieri. Accesi la tv e mentre mangiavo qualche patatina facevo
zapping: ovviamente come al solito non c'era nulla di interessante.
Così spensi la tv, dopo una mezz'ora passata inutilmente a cercare
un canale decente.
"Cento: i
battiti del mio cuore, vedendo te." pensai. Rimuginai quella
frase come se fosse stato un rombo di tuono in lontananza.
"Mah!"
pensai infine e mi misi a lavare i piatti, con l'intenzione di andare
a letto presto.
Sto pensando. Sì, sto pensando che potrei mostrare al mondo alcune mie creature...
Scrivo sempre, ogni giorno della mia esistenza, immagini che fanno battere il cuore.
Forse...potrei far battere il cuore anche agli altri. Passo dopo passo, parola dopo parola...sembra un cammino. Un cammino nelle sfumature di vari colori.
Vorrei provarci, scrivendo al mondo intero...per poterlo cambiare!
Scrivo sempre, ogni giorno della mia esistenza, immagini che fanno battere il cuore.
Forse...potrei far battere il cuore anche agli altri. Passo dopo passo, parola dopo parola...sembra un cammino. Un cammino nelle sfumature di vari colori.
Vorrei provarci, scrivendo al mondo intero...per poterlo cambiare!
A dream for a Princess
Li vedo e li sento, perchè mi fanno battere il cuore. Sono come lucciole invisibili all'occhio umano, ma io le vedo, sono come stelle diurne che vagano senza meta. E io le voglio, le desidero più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ho paura però, così paura che inciampo in quelli che sono i problemi d'una vita da sognatrice.
Cado. Rimango a terra, inerte e silenziosa. E infine piango, perchè ho perso le mie stelle diurne. Le ho perse! Le ho perse, e continuo ad urlare. Lacrime amare disegnano righe nere sulle mie guance. Ma poi davanti a me, qualcosa c'è. Si svela, in tutto il suo splendore.
Piccolacorona d'un argento così lucente, che quasi m'abbaglia. La sua luce scalda il mio cuore ormai gelato da quella caduta così improvvisa, così devastante. Ma la forza d'alzarmi mi prende le gambe, come per magia. Rialzandomi pian piano m'avvicino a quella corona così bella.
La tengo tra le mie mani, e proprio in quel momento la tengo stretta al petto. Quello è il parto delle mie stelle diurne.
Così la indosso, sul mio capo. Il mio premio, d'una reazione a un problema così grande: la paura di sognare. Da allora continuo a correre, passeggiare e saltare nel bosco del mio cuore, il mio piccolo regno. Un regno di cui io sono principessa.
Welcome in Momo's Wonderland
La mia mente: la scatola dei miei sogni.
I sogni: tutto ciò che mi fa battere il cuore.
I battiti del mio cuore....i passi nel Paese delle Meraviglie.
Ciò che vede il mio cuore,
è quello che vedi anche tu.
Le fotografie di un sogno,
dipinti di Wonderland.
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