"100"
"Uff..."sbuffai.
Era
una bellissima giornata di sole e il suo calore mi scaldava le
braccia mentre tenevo chiusi gli occhi, rivolgendo il volto verso il
cielo.
Stavo
sdraiata sul verde prato dell'università dove studiavo, durante la
pausa delle lezioni. Era un giorno come gli altri, dove le uniche mie
fedeli compagne erano i miei pensieri.
Pensieri
di solitudine, di angoscia, e domande su domande si sovrapponevano
costruendo un immenso castello illusorio.
"Perchè?"
pensai. Poi aprii gli occhi, e cercai di immergermi nell'azzurro del
cielo. Era un colore così limpido e intenso che veniva voglia di
volare. Eppure mi sentivo così terribilmente pesante, per colpa dei
miei pensieri.
"Perchè...sono
così....vuota? Eppure...mi sento così...pensante!" conclusi,
sbuffando nuovamente.
Il
silenzio mi circondava, come se improvvisamente fosse finito il
mondo. Nessuno passava, le voci erano assenti. Qualche uccellino
cinguettava, forse. Ma ero così immersa nel cielo azzurro che
preferivo ascoltare la dolce ma malinconica melodia del silenzio.
Di
colpo udii la massa di ragazzi e ragazze, camminare rumorosi e
chiacchierando, avvicinarsi.
Il
tormento dei miei pensieri cessò all'istante, per farmi precipitare
nella mia realtà di ambizione e perfezione che era l'università.
Mi
rialzai e controllai l'orologio. Erano le due e passate del
pomeriggio, ormai era giunto il momento di dirigersi in biblioteca e
studiare; così presi la tracolla con tutti i libri e i miei
manoscritti.
Non
ero riuscita a scrivere nulla quel giorno, e mi sentivo abbattuta,
vuota, priva d'ispirazione. Però il dovere mi chiamava, e dovevo
studiare, fare tante altre cose.
Per di
più attendevo il responso da parte di un insegnante della mia
università riguardo un manoscritto che le avevo allungato: speravo
che lo riuscisse a proporre ad una casa editrice, dato che lei ci
lavorava. Peccato che ormai era un mese che lo leggeva e....me lo
rimandava indientro! Il tutto perchè mancava qualcosa. Avevo ormai
perso il conto di tutte le volte che ci eravamo incontrate per
rivedere e commentare il manoscritto. Stavo per perderci le speranze,
nonostante scrivere fosse una delle mie poche passioni che mi
toglievano dalla mia solita vita. Forse era quello il motivo per cui
sentivo iun grande vuoto dentro di me? No, non era solo quello.
Cercavo di darmi sempre delle risposte razionali, non troppo
sentimentali. Così pensai che, per colpa della mia ambizione, il
vuoto dentro me fosse nato perchè avevo perso molti amici. O forse
erano loro che non avevano mai accettato il fatto che fossi migliore
di loro?
Una
ragazza determinata, studiosa e indaffarata non poteva sempre
attendere gli altri. Tanto valeva salutarli, lasciando che loro ti
mandassero a quel paese e ti dessero della asociale.
"Mah...che
invidiosi!" pensai allora.
Arrivai
in biblioteca e iniziai a tirare fuori l'agenda, su cui erano segnati
vari impegni: università, pianoforte, incontro con la professoressa
per il manoscritto, doposcuola. Quelli erano ormai divenuti il mio
mondo.
"Quante
cose da fare..." pensai. Una persona qualunque sarebbe stata
etusiasta di avere così tante faccende da sbrigare, nella speranza
che tutto ciò avesse reso qualcosa in futuro.
Io non
lo ero. Ero così a terra che avrei preferito cancellare qualsiasi
impegno pur di rimettermi sdraiata su quel prato verde
dell'università, cercando di pormi talmente tante domande da
schiacciare il mio cuore come una noce.
Si
fecero le sei e pensai di lasciare l'università per dirigermi a
casa. Attraversai i corridoi vedevo sfrecciare veloci gli studenti e
i professori intorno a me, mentre passeggiavo con calma, con la
pesantezza della giornata e del sapere ormai inglobato che si faceva
sentire. All'improvviso mi sentii chiamare:
"Nanako!
Aspettami!". La sua voce affannosa e squillante la riconobbi tra
mille.
Era Sakura, molto
probabilmete aveva appena finito la lezione di psicologia generale.
Le avevo detto che l'avrei accompagnata a lezione, ma alla fine
preferii fare altro.
Non vedevo l'ora
di essere a casa.
"Sakura....
Cosa c'è?" chiesi. Aveva un gran fiatone per la corsa che aveva
fatto per raggiungermi.
"Non ti ho
vista a lezione!" esclamò lei .
"Non mi hai
vista? Ero in fondo...." dissi, mentendole spudoratamente.
"Sì, come
anche l'altro giorno, che in realtà ti sei addormentata sul giardino
dell'università?!"esclamò acida, scoprendo la verità.
Nonostante tutto non provai vergogna per averle mentito.
"Va bene! Va
bene....lo ammetto, oggi volevo starmene per conto mio. Scusami..."
replicai, un po' scocciata.
"Comunque
volevo riferirti una bellissima novità!"
"E sarebbe?"
chiesi. Lei fece un grande sorriso.
"Io e
Rihito....ci siamo messi insieme! Finalmente si è dichiarato e
così...ci siamo baciati. E' successo tutto così in fretta! Scusa ma
ora scappo, che lui mi sta aspettando all'uscita! Ci sentiamo così
ti racconto meglio!" esclamò lei e si dileguò velocemente,
mimetizzandosi nella folla di studenti che uscivano.
Io invece rimasi
lì, ferma e immobile, pensando alla sua felicità e alla mia
solitudine e monotonia.
"Io? Perchè
non ho novità?"pensai, guardando verso il vuoto. La gente
continuava a passarmi di fianco, come se fossi un semplice fantasma.
"Mah..."
pensai e ripresi il mio cammino verso casa. Montai sulla mia
bicicletta e in pochi minuti mi ritrovai nel mio piccolo
appartamento, l'essenziale per vivere da sola.
"Casa dolce
casa..." pensai, chiudendo la porta dietro di me. Quella sera
l'avrei trascorsa in casa. Forse sarei dovuta uscire con Sakura, ma
lei ormai viveva nel suo mondo rosa e fiori. Sola, sola e ancora più
sola. Preferivo rimanere da sola, piuttosto che sentire cinguettare
Sakura nel suo idillio d'amore. Chiudermi nel mio mondo, studiare,
dedicarmi alla musica e ai miei libri era la cosa migliore.
Mi tolsi le
scarpe e camminai con le pantofole a forma di gatto nero con gli
occhi gialli. Era ormai ora di cena, ma quella sera non avevo fame.
Al massimo avrei sgranocchiato qualche patatina sfiziosa a forma di
orsacchiotto accompagnata da una coca cola.
"Casa...dolce
casa..." pensai, mentre presi uno dei miei libri scritti a mano
e mi misi a sedere sulla poltrona, al centro del minuscolo soggiorno.
Iniziai a leggere, nel silenzio. Ma poi di colpo caddero due lacrime
dal mio viso, e chiusi il libro per non bagnarlo.
Quelle lacrime
disegnavano ogni giorno il mio grande vuoto. Facevo ogni cosa,
vivendo le mie passioni, ma non mi sentivo in pace con me stessa.
Non potevo
parlarne con nessuno....non volevo. Chiudevo il mio vero essere
fragile, quel vuoto così potente , per paura di essere scoperta e
giudicata come una ragazza qualunque.
Diedi un forte
pugno alla poltrona. Ormai essa era divenuta una grande compagna di
sfogo: parlavo con lei, mi sfogavo con lei. E lei taceva, e
pazientemente ascoltava, circondandomi e coccolandomi con le sue
grandi braccia di pelle rossa.
Improvvisamente
il cellulare suonò.
"Chi sarà?"
pensai, asciugandomi le lacrime. Guardai sul display, ed era mio
padre che mi chiamava. Risposi alla telefonata, ovviamente sapevo che
sarebbe stato rapido e coinciso come sempre.
Mi chiese come
stavo, se studiavo e se fra poco ci sarebbe stato qualche esame.
Risposi con qualche vago monosillabo, e lui non cercò minimamente di
farmi uscire dalla bocca altre parole. Da quando era morta mia madre
si era spento, a tal punto da mostrarsi quasi formale con me, come se
fossi stato una sua dipendente di lavoro o una persona qualunque.
"Bene ci
sentiamo presto allora. Ciao." disse e riagganciai.
Quelli erano i
momenti più inutili della mia vita: perchè chiamare se poi nemmeno
avevamo più una relazione o un legame così importante, come doveva
avere un padre e una figlia? Per fortuna che avevo le mie passioni
oltre allo studio, ma erano un segreto. Non volevo dirglielo perchè
temevo il suo giudizio, ma al tempo stesso ero così fiera di ciò
che stavo facendo che lo avrei supplicato pur di venirmi a trovare un
giorno a suonare o aiutare i bambini a fare i compiti. Sembrava così
semplice. Eppure in realtà era così complicato!
"Basta
adesso piangere! Studiamo un po', almeno mi rendo utile per
qualcosa..." pensai, e così presi la borsa e tirai fuori il
libro di psicologia applicata. Lo aprii precisamente alla pagina
cento, che avevo segnato su un post it in agenda come promemoria. Ad
un tratto però, quando aprii il libro vidi qualcosa che occupava la
parte centrale della pagina cento:
"Cento: i
battiti del mio cuore, vedendo te." lessi su un post it,
attaccato alla pagina cento.
"Eh?"
pensai, leggendo e rileggendo quel post-it. Come poteva esserci un
post it del genere sul mio libro? E perchè sul mio libro?
"Oh... al
diavolo! Sarà stato lo scherzo di qualche idiota..." pensai,
stringendo il post it nella man per ridurlo ad una piccola pallina di
carta fluorescente.
Gettai il
foglietto nel cestino e ripresi a studiare dalla pagina cento. Lessi
e rilessi la pagina più e più volte, perchè non ero per niente
concentrata. Dopo un quarto d'ora compresi che i miei pensieri erano
ancora smarriti su quel pezzetto di carta gettato nel cestino.
"Accidenti!
Perchè devo perdermi in certe cose?! Presto avrò un esame e non
posso perdere la concentrazione...." pensai sospirando e
rivolgendo lo sguardo verso il soffitto.
A quel punto
conclusi che non era più possibile studiare perdendosi in certi
pensieri. Accesi la tv e mentre mangiavo qualche patatina facevo
zapping: ovviamente come al solito non c'era nulla di interessante.
Così spensi la tv, dopo una mezz'ora passata inutilmente a cercare
un canale decente.
"Cento: i
battiti del mio cuore, vedendo te." pensai. Rimuginai quella
frase come se fosse stato un rombo di tuono in lontananza.
"Mah!"
pensai infine e mi misi a lavare i piatti, con l'intenzione di andare
a letto presto.
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